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 368 - Irène Némirovsky

 

Esercizi di memoria

«Lucille vide una bella stampa romantica che raffigurava un veliero sul mare… “Vuole farmi il favore di accettarla, Signora?” – disse l’ufficiale tedesco – “Il soggetto è convenzionale. Però osservi: c’è un tempo minaccioso, un cielo plumbeo, una nave che si allontana [come non pensare al pittore Caspar David Friedrich e alle sue marine nordiche] e più in là all’orizzonte, una striscia di luce, una vaga, pallidissima speranza…”.

“La terrò cara, mein Herr, per questa linea bianca all’orizzonte” disse Lucile quasi in un sussurro. Bruno von Falk si inchinò e riprese i preparativi» (Irène Némirovsky, Suite française, edizione originale, 2004, p. 509). Lascia la Francia per il fronte russo (è appena iniziata l’operazione Barbarossa, solstizio 1941), da cui non tornerà.

Siamo in un piccolo paese della più profonda provincia francese: l’esercito tedesco ha requisito le abitazioni migliori per i suoi ufficiali. Uno di loro, pianista e raffinato ammiratore della cultura francese, incontra Lucille, moglie di un soldato al fronte, forse morto o disperso. Tra i due sorge una profonda simpatia che sfiora l’amore: l’autrice la descrive mirabilmente in tutta la sua angosciante ambiguità. In un contesto diverso Primo Levi ne I sommersi e i salvati affronta il rapporto tra carnefici e vittime sullo sfondo del lager: «È una zona grigia, dai contorni mal definiti, che insieme separa e congiunge i due campi dei padroni e dei servi… ed alberga in sé quanto basta per confondere il nostro bisogno di giudicare…» (Opere, vol. 4, p. 1002).

Diverso invece sullo stesso tema è l’approccio di Vercors ne Il silenzio del mare, dove madre e figlia, che ospitano forzatamente un ufficiale tedesco, oppongono un inesorabile e fiero silenzio ai tentativi di dialogo, basati, anche in questo caso, su una grande conoscenza e ammirazione per la cultura francese.

Il 13 luglio 1942 gendarmi francesi della Francia occupata [i volonterosi carnefici di Hitler non erano soltanto tedeschi] arrestano Irène Némirowsky, sposata Epstein, internandola nel campo di concentramento di Pithiviers. Il 17 luglio sale con altri deportati sul convoglio n. 6 diretto ad Auschwitz. Viene registrata a Birkenau, ma debole e stremata, dopo una breve permanenza all’infermeria, è inviata alla camera a gas dove è assassinata il 17 agosto 1942.

Era nata nel 1903 a Kiev. Il padre Léon, originario di una famiglia proveniente dalla città ucraina di Nemirov, era di Elisabethgrad, da dove era partita nel 1881 una grande ondata di pogrom contro gli ebrei. Già ricco di famiglia si era affermato nel mondo della finanza, diventando uno dei più influenti banchieri russi. Nel dicembre del 1918 Léon Némirovsky con la famiglia fugge in Finlandia, poi l’anno dopo in Francia, riuscendo a salvare gran parte dei suoi averi.

 

Una scrittrice europea

Irène, che avrà per tutta la vita un pessimo rapporto con la madre, totalmente disinteressata alla sua educazione, aveva imparato il francese dalla governante fin dalla prima infanzia; parlava inoltre correntemente il russo, il polacco, l’inglese, il basco e il finlandese e capiva l’yiddish. Era una rappresentante di quella cultura autenticamente europea che richiama figure di diversa estrazione, ma di uguale grande respiro, come il viennese Stephan Zweig, autore, negli stessi anni, di un testo intitolato, non a caso, Memorie di un europeo. Ebbe tuttavia un rapporto controverso con la civiltà ebraica da cui proveniva: ne vedeva impietosamente tutti i limiti e, pur essendo una ricca borghese, considerava il maneggio di denaro e l’accumulo di beni qualcosa d’infamante. Rasentò l’accusa di pregiudizio antisemita a partire dal suo primo romanzo David Golder, grande successo del 1929: vi si narra la vita di un ebreo che diventa ricchissimo nel mondo della finanza, ma poi fallisce e muore povero com’era nato.

Ma è in Suite française, titolo intraducibile, che l’autrice traccia un maestoso affresco del suo tempo. Prende a modello la quinta sinfonia di Beethoven. Il progetto prevede un’opera di mille pagine divise in cinque parti. Il precipitare degli eventi le consentirà di completarne solo due: Temporale di giugno, dedicata alla precipitosa fuga dei civili da Parigi con i tedeschi alle porte e Dolce (in italiano, nell’originale), in cui affronta invece il tema della convivenza tra civili francesi e militari tedeschi durante l’occupazione, vista nel microcosmo di una zona rurale.

L’analisi psicologica, non priva di sottile ironia, delinea situazioni e comportamenti descrivendo impietosamente le debolezze e le vigliaccherie di chi cerca di fuggire situazioni difficili o di convivere, alla meno peggio, in un clima generalizzato d’incertezza e paura.

 

«Saranno opere postume, temo...»

Malgrado la crescente notorietà – ci informa Myriam Anassimov nell’ampia prefazione all’edizione originale – la scrittrice non otterrà mai la cittadinanza francese e ciò aggraverà la sua posizione rispetto alle leggi razziali, introdotte dall’occupazione tedesca in un clima di crescente antisemitismo, radicato anche in Francia per tutti gli anni Trenta. Il 2 febbraio 1939 viene battezzata con le figlie, in una chiesa di Parigi, da un amico di famiglia, il vescovo rumeno mons. Ghika: non le servirà per sfuggire alla persecuzione, anche perché si dichiarerà comunque ebrea al censimento del 1941. Le leggi dell’ottobre 1940 negano agli ebrei tutta una serie di diritti civili, soprattutto se stranieri: il marito di Irène, Michel Epstein, perde il lavoro e lei stessa non può più pubblicare, se non in misura limitata e sotto pseudonimo. Molti amici si allontanano, presi nel gorgo del collaborazionismo. Erano tempi in cui si scrivevano lettere come questa: Milano, 10/10/1938 da Editrice Genio a Albin Michel, Paris «Vi preghiamo molto gentilmente di saperci dire se la signora I. Némirowsky è di razza ebraica. In base alla legge italiana...». Ulteriori norme del giugno 1941 rendono la situazione ancora più precaria disponendo per gli ebrei il domicilio coatto e l’internamento, e preludono alla tragedia finale del campo di sterminio, cui sfuggiranno fortunosamente solo le figlie. La famiglia Epstein lascia Parigi per un piccolo paese di provincia: Irène non fugge in Svizzera come forse avrebbe potuto, è cosciente che non le resta molto tempo e che non completerà il suo capolavoro, però scrive fin quasi al giorno dell’arresto... 11 luglio 42: «lavoro nella pineta, seduta sul mio maglione come su una zattera [pensate alla grande tela di Géricault, al Louvre, dedicata alla zattera della Medusa] in mezzo a un oceano di foglie putride inzuppate dal temporale della notte scorsa». In una lettera all’editore dirà, in quegli stessi giorni: «Caro amico… non mi dimentichi. Ho scritto molto, saranno opere postume, temo...». Il 3 giugno aveva fatto testamento e dato precise istruzioni, fin nei minimi particolari, alla tutrice delle figlie, elencando tutti i beni che potevano essere venduti in caso di necessità. Le due ultime lettere, scritte a matita, al marito, mentre già era in stato di fermo, dicono, tra l’altro: «Amore mio, soprattutto stai tranquillo... se poteste mandarmi qualcosa, il secondo paio di occhiali... anche libri, per favore e, se possibile, un po’ di burro salato... sono certa che non sarà una faccenda lunga...». Non lo fu, in effetti: bastarono pochi giorni per spegnere la vita di una delle più grandi scrittrici del Novecento francese ed europeo. «Con l’Olocausto – ha detto l’ungherese Imre Kertész, premio Nobel per la letteratura, sopravvissuto al campo di Auschwitz – è crollata l’illusione dell’umanismo. Lo sterminio ha annientato millenni di cultura cristiana, greca, ebraica nel modo di concepire l’uomo» («La Repubblica», 4/8/2009).

Il marito Michel spera nel ritorno di Irène e dispone che ad ogni pasto venga preparato il suo posto a tavola. Interpella quelli che ritiene amici influenti, scrive al maresciallo Pétain. La risposta del governo di Vichy sarà il suo arresto (ottobre 1942): Creusot, Drancy, Auschwitz ove è subito avviato alla camera a gas (6 novembre).

 

Il mistero del male nel fondo dell’uomo

La tutrice Julie Dumot e le figlie, Denise di 13 e Elisabeth di 5 anni, sfuggono alla caccia spietata dei gendarmi francesi, che, come nota la Anassimov, «non avevano nulla di più importante da fare che consegnare ai nazisti due bambine ebree». Individuate, si rifugiano per alcuni mesi in una grotta nei pressi di Bordeaux, sempre custodendo gelosamente la valigia che contiene il manoscritto di Suite française. Nei primi giorni dopo la fine della guerra sostano lungamente davanti all’Hotel Lutetia di Parigi, dov’erano concentrati i sopravvissuti e i reduci; qui una volta Denise cerca disperatamente di raggiungere una donna in cui le era sembrato di riconoscere la madre. Solo dopo molti anni la figlia maggiore, vincendo il dolore, rilegge e copia il manoscritto, affidandolo all’Imec, Institut Mémoire de l’Edition Contemporaine. Finalmente, nel 2004, il romanzo è pubblicato, con questa dedica: «Sulle tracce di mia madre e di mio padre, per mia sorella Elisabeth, per i miei figli e i miei nipoti, questa Memoria è da trasmettere; e per tutti quelli che hanno conosciuto e ancora oggi conoscono il dramma dell’intolleranza».

«La Shoah, cioè il disegno di distruggere, sistematicamente, tutto un popolo, da parte di un altro popolo, giustamente considerato tra i più ‘civili’ della Terra, per ragioni tanto oscure quanto incomprensibili – scrive Arrigo Levi nel suo recente Un paese non basta – è andata apparendo sempre più come un orrore che tormenta la mente non solo di noi ebrei, ma di tutti gli uomini... è il mistero del male, nella sua forma più pura e assoluta... che si nasconde nel fondo dell’anima umana... che incombe sul futuro dell’umanità», mentre dalle pagine de I sommersi e i salvati Primo Levi ci rimanda il suo angoscioso ammonimento: «È avvenuto, quindi può accadere di nuovo».

Pier Luigi Quaregna

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