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Il principio solidarietà

 

Da molti anni, per onorare la memoria di Marcello, un ragazzo che perse la vita in un tragico incidente stradale, la sua famiglia, l'Associazione Culturale Punto Rosso e la Libera Università Popolare hanno istituito il Premio Marcello Ferranti. Il concorso si rivolge a tutti gli studenti dell’ultimo anno delle scuole superiori che elaborino un testo d’ impostazione critico-argomentativa a partire da diversi campi d’interesse. L’ultima edizione del premio Ferranti, a settembre dello scorso anno, proponeva la seguente traccia: «Si è diffusa l'idea che la solidarietà come principio/valore sia "anacronistica", in quanto ignora le trasformazioni continue della società attuale "perennemente segnata dal rischio, e dilatata nel globale". Lo studioso di Diritto civile S. Rodotà, al contrario, sostiene che" nei tempi difficili è la forza delle cose a farne avvertire il bisogno ineliminabile. Il principio di solidarietà, nominato già in molte costituzioni, è al centro un nuovo concetto di cittadinanza, intesa come uguaglianza dei diritti che accompagna la persona ovunque sia. Il principio di solidarietà appartiene ad una logica inclusiva, paritaria, irriducibile al profitto e permette la costruzione di legami sociali in una dimensione propria dell'universalismo". Solidarietà, dunque, come "utopia necessaria". Esprimete il vostro parere in proposito, riferendovi ad esempio al problema della cittadinanza in Italia e in Europa a fronte dei recenti flussi migratori». Chiara Manganini, seconda classificata, ha sviluppato tale tematica nel seguente elaborato, che Claudio Belloni ci ha segnalato e volentieri pubblichiamo.

 

Come l’ha definita acutamente Zygmunt Bauman, l’odierna società “liquida” presenta nella sua stessa essenza un rapporto di opposizione con il principio di solidarietà, a partire dall’etimologia contrapposta dei due termini. La coesione è sentita necessariamente come estranea al modello di vita contemporaneo e la società si è spesso dedicata a una rivisitazione ludica o ironica del passato, intersecandosi in vari modi con pulsioni nichilistiche. Le dinamiche mondiali degli ultimi decenni conducono dunque a circoscrivere la portata della solidarietà sia nella determinazione concettuale sia nella sua applicabilità. Eppure, quasi paradossalmente, la nostra società avrebbe una particolare esigenza di trovare una nuova base di unità interna che, evidentemente, non ha più ragione d’essere di natura trascendentale. La solidarietà è proprio questo: un concetto comune a religioni, dottrine politiche, etnie diverse; un valore che può continuare a sussistere in chiave laica nell’era del postmoderno ponendosi, come è stata definita dal giurista Stefano Rodotà, come “utopia necessaria” per la nostra società. Infatti, il principio di solidarietà si mostra perfettamente in linea con la tendenza contemporanea verso l’universalismo e il cosmopolitismo, fenomeni accelerati in larga misura dalla globalizzazione. Tuttavia, a questo scopo, è assolutamente necessaria una ragionata e approfondita riflessione sulla trasformazione del concetto di coesione.

 

Caratteristiche della società postmoderna

Innanzitutto, è doveroso mettere a fuoco le caratteristiche fondamentali della società in cui siamo immersi. A tal proposito, utilizzerei la citazione del grande filosofo francese Jean-Francois Lyotard, tratta dal suo celebre saggio “La condizione postmoderna” del 1979. Con quel libro, Lyotard ha schiuso una vera e propria categoria interpretativa della società contemporanea, la cui caratteristica peculiare è «l’incredulità nei confronti delle meta narrazioni». Le metanarrazioni sono le grandi narrazioni metafisiche (illuminismo, idealismo, marxismo) che, trascendendo la singola esistenza umana, ritenevano di poter sovrapporre al mondo un modello di ordine. Esse hanno costituito per millenni fonte di unione sociale, politica o religiosa e ne hanno ispirato, nella modernità, le utopie rivoluzionarie. Per quanto riguarda il Vangelo, il principio di solidarietà è espresso, per esempio, sotto forma della parabola del “Buon Samaritano”, una solidarietà che si attua nella relazione faccia a faccia, dell'incontro con il volto dell'altro, nel soccorso di chi ha subito un’ingiustizia (il “derubato”). O ancora, frequentemente l’Antico Testamento insiste sulla forza della coesione del popolo d’Israele. Nel Novecento, la dottrina politica si sostituì a quella religiosa facendo leva sullo stesso sentimento di uguaglianza e di fraternità, come prova chiaramente il noto slogan marxista «proletari di tutto il mondo, unitevi!».

 

Il concetto di solidarietà nell Costituzione

Per quanto riguarda il quadro italiano, la Costituzione entrata in vigore nel 1948, dimostrandosi particolarmente lungimirante, pose la parola solidarietà in una posizione privilegiata e di grande importanza. L’articolo 2 recita: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».

Dopo una guerra sanguinosissima, che per il nostro Paese comportò anche una lacerazione del tessuto sociale, la solidarietà venne posta come dovere inderogabile di tutti i cittadini e, allo stesso tempo, come garante dell’uguaglianza dei loro stessi diritti fondamentali. Tra questi, nella nostra Costituzione, è attribuita una particolare importanza al diritto al lavoro. E, proprio la correlazione “diritti inviolabili / doveri inderogabili” conduce a individuare nella titolarità di una posizione lavorativa il fulcro dell’uguaglianza sostanziale fra i cittadini: soltanto il lavoratore è in grado di beneficiare compiutamente dei diritti fondamentali e di adempiere ai doveri a lui connessi, «concorrendo al progresso materiale e spirituale della società» (art. 4.2). Infatti, solo il cittadino lavoratore, grazie all’apparato tributario che tassa il proprio lavoro, può dire di avere mantenuto fino in fondo il dovere di solidarietà economica. In seconda battuta, le tasse da lui pagate saranno utilizzate dallo Stato per provvedere a quei servizi sociali e assistenziali (assistenza sanitaria, scuole pubbliche, pensioni), facendo sì che egli abbia adempiuto indirettamente anche al dovere politico-sociale che il termine “solidarietà” esprime esplicitamente nell’articolo 2.

 

L’ultima trasformazione del concetto di solidarietà

Non è secondario, tuttavia, il fatto che nei tempi recenti la compagine lavorativa nel nostro Paese sia drasticamente mutata a causa della grave crisi occupazionale degli ultimi anni. Di conseguenza, anche il principio di solidarietà che, come già detto, si reggeva in gran parte sul diritto al lavoro, ha risentito di un forte indebolimento. D’altro canto, la solidarietà ha ancora senso di esistere e, anzi, questo nobile principio individuato così efficacemente dai Padri Costituenti si dimostra ancora una volta di vitale importanza per le sorti dell’intero Paese. Infatti, non è errato affermare che alla tradizionale classe operaia italiana, si è sostituita una nuova classe sociale e professionale: quella dei lavoratori stranieri, gruppo che nel suo complesso adempie ai doveri di solidarietà richiamati dall’art. 2 della Costituzione con una intensità non inferiore a quella del lavoratore italiano.

La condizione dei lavoratori stranieri presenta un aspetto peculiare: essi vengono nei territori europei per svolgere le professioni meno gradite ai lavoratori italiani (spesso pur essendo dotati di un livello di istruzione superiore ed essendo inclini a una mobilità territoriale tripla rispetto a essi), ma non si accorda loro l’ingresso e la permanenza se non hanno già un lavoro. L’uguaglianza lavorativa viene concessa agli immigrati regolarizzati mediante sanatorie dopo anni di lavoro nero.

 

Un dovere che genera diritti

Il lavoro nero è una pratica (purtroppo consolidata) estremamente nociva per lo Stato poiché interrompe quel meccanismo per cui, come già descritto, il lavoratore giunge ad adempiere il dovere inderogabile di solidarietà. Il lavoro viene infatti slegato dalla sua nobile ricaduta sociale, economica e politica e sfruttato solamente per quale è: occupazione e impegno perlopiù fisico e manuale (nel caso di lavoratori stranieri). Va così ad ingrandirsi sempre più il debito “morale” che lo Stato italiano nutre nei loro confronti, siano essi emigrati dai propri paesi di origine per scopi economici o politici.

Anche interpretando il fenomeno dei recenti flussi migratori in chiave puramente giuridica, si perviene a un medesimo “stallo”. L’articolo 13.2 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo recita: «Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio e di ritornare nel proprio paese». Sul piano teorico, al diritto di emigrare riconosciuto da uno Stato dovrebbe corrispondere un dovere di ammissione da parte di altri Stati, mentre l’imperfezione della comunità internazionale non consente questa reciprocità. Ciò determina una grande ingiustizia nei confronti di centinaia di migliaia di profughi che, con l’irruenza e la frequente drammaticità dei attuali flussi migratori, ci incalzano sempre più a scrivere un nuovo capitolo del diritto internazionale. È infatti necessario inaugurare al più presto un inedito corso giuridico, in grado di superare l’idea (già in parte tramontata) dello Stato-Nazione e approdare a un più auspicabile diritto europeo solidale, inclusivo, umano.

Chiara Manganini

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