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La strana storia del soldato Schimek

 

«Ora che è morto la patria si gloria di un altro eroe, alla memoria», cantava Faber in anni lontani. Otto Schimek, Vienna, 5 maggio 1925 − Lipiny (Polonia) 14 novembre 1944.

Una targa a lettere d'oro all'ingresso del cimitero di Machowa (Polonia) ricorda: «Giustiziato dalla Wehrmacht per essersi rifiutato di sparare sulla popolazione civile polacca». Soldato dell'esercito tedesco, ma nato in Austria e onorato soprattutto in Polonia. Lech Walesa lo ha citato celebrando i 50 anni dall'insurrezione di Varsavia, il 1 agosto 1994; Ignatius Tokarczuk, arcivescovo di Przemysl, lo additava ad esempio davanti a 300.000 pellegrini convenuti a Czestochowa e persino papa Wojtyla ricordò il dovere dei polacchi di rendere onore «a questo giovane austriaco».

Ma anche l'Austria volle la sua parte. Alois Mock, ministro degli esteri e vicecancelliere si recò a deporre una corona sulla sua tomba. Finalmente l'Austria aveva un eroe antinazista e poteva almeno tentare di rialzare la testa e lavarsi un po’ la faccia, dopo l'ignominia dell'Anschluss. Il 13 marzo 1938, il 99,73% degli austriaci votarono per essere degradati da Oesterreich (il regno d'oriente) a semplice Ostmark (provincia orientale del Reich tedesco). Si registrarono in Vienna solo 1953 voti contrari: i 10 giusti di Sodoma di Gen 18,32 (che però a Sodoma non furono trovati…)? Forse oggi il nuovo cancelliere S. Kurz e il suo vice dell'estrema destra H. C. Strache non avrebbero più la stessa sollecitudine di Mock.

Chi era il soldato Schimek? Un bravo ragazzo, nato in un quartiere periferico di Vienna, che aveva fatto con difficoltà le scuole elementari ed era poi stato avviato , in una classe per ipodotati, al mestiere di falegname. Alla sorella aveva detto, al momento dell’arruolamento nell’esercito: «Le mie mani non saranno mai sporche di sangue». Inviato in Polonia e addetto forse a funzioni di ordine pubblico, viene ferito e ricoverato nell’ospedale di Tarnow, da cui fugge. Un certo giorno è trovato senza fucile ma con una grossa pagnotta di pane nero sotto il braccio, probabilmente trafugata da un negozio temporaneamente sguarnito. Pane di segale, un po’ troppo compatto e pesante per i nostri palati ma gustoso e saporito; forse se ne trova ancora oggi nei negozi da Lugano, dove si chiama tessiner Brot, fino a Lubecca sul Baltico. Una manna dal cielo in quei tristi tempi. Catturato e accusato di diserzione, è condannato a morte e subito fucilato. La sua ultima lettera al fratello Rudie è piena di errori, che qualche anima pia avrebbe voluto correggere come se la sua figura ne uscisse sminuita dalla approssimativa conoscenza del tedesco…

Così ora i pellegrini alla tomba cantano in polacco: «Quando il mattino comincia ad albeggiare, tua è la terra, tuo è il mare» o in tedesco: «Austria felice e felice gioventù, che hai un modello per ogni virtù». Qualcuno l’ha paragonato a padre Kolbe, altri ne hanno chiesto la beatificazione, pratica poi sospesa data la poca chiarezza e la contraddittorietà delle testimonianze in cui il soldato Schimek era stato coinvolto. Insomma, come accenna De Andrè in un’altra canzone: «Che sia stato un vero eroe non si sa, non è ancor certo…». Una storia con tante ombre, conclude Claudio Magris che riporta quest’episodio (Non luogo a procedere, pp. 182 ss.), ma con qualche punto fermo. Eroe per non aver voluto sparare, eroe per quella pagnotta sotto il braccio che si alza grandiosa «sulla melma della guerra, delle bandiere e delle tombe». «Uno così merita comunque un monumento e candele votive… anche a prescindere dal motivo per cui non ha sparato, magari solo perché non aveva più il fucile». Un solo documento certo, la sua lettera sgrammaticata, e un solo fatto certo, la sua morte a 19 anni. Sullo sfondo la totale, irriducibile insensatezza della guerra.

Pier Luigi Quaregna

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