In agosto, gran rumore su alcuni preti a Torino, presunti pedofili. Il fatto, se c’è, è brutto. Può essere anche successo – anche questo da accertare – che qualche giovanotto sia andato a caccia di preti ingenui e immaturi per poi spillare soldi. Brutta anche l’eco amplificata sui giornali: foto enormi, articoli che ripetono le poche notizie. In casi simili – molti nel mondo, specialmente negli Stati Uniti, dove sarebbero serviti anche a screditare la chiesa cattolica che con Wojtyla si opponeva alle nuove guerre americane – bisogna anzitutto, una volta accertati i fatti, che sia resa la giustizia dovuta alle vittime, che non è solo risarcimento monetario.
In secondo luogo, va vista la situazione personale dei colpevoli accertati. La pedofilia è l’ultimo tabù sessuale rimasto, anche se è comparsa pure, respinta con indignazione, la rivendicazione di una «giornata internazionale dell’amore per i bambini», International Boylove day. La lapidazione dell’adultera, da noi, oggi è riservata al solo pedofilo. In effetti, approfittare della forte diseguaglianza psicologica, come lo stupro approfitta della forza fisica, è particolarmente ingiusto e odioso. Inoltre, in altri casi, descritti nella trasmissione tv di Santoro, sembra sia stata usata proprio l’influenza religiosa, abusando anche del nome di Dio per sottomettere.
Non sembra che il problema stia tutto nel celibato dei preti, perché ci sono pedofili con libera e sfrenata vita sessuale. La figura del prete, pur nella società secolarizzata, è ancora segnata soprattutto dal suo singolare statuto sessuale. Residui di purità sacra, come per le antiche vestali, che non ha fondamento evangelico, persistono nella sua immagine pubblica. Sempre meno scandalizza una sua relazione sessuale buona e corretta, ma maggiore è lo scandalo e il giudizio, certo con ragione, quando fatti di pedofilia sussistono. Questo eccita la ghiotta curiosità dei media.
La situazione umana degli uomini in questione, quando sono colpevoli – molto più dolorosamente se accusati senza colpa – cade da una posizione di esempio atteso e preteso, a quella di speciale scandalo e disprezzo; dall’essere in qualche modo primi all’essere ultimi. Senza concedere nessun privilegio, senza fermare la giustizia, è bene anche avere pietà di questi casi, come per ogni colpevole, non di più e non di meno.
Giustizia è riparare per quanto possibile l’offesa restituendo alle vittime la dignità violata, non è infierire sui colpevoli, mai, in nessun caso, neppure sugli assassini. Un grande nuovo insegnamento è venuto dal Sudafrica dopo i delitti (dei bianchi e anche dei neri) commessi durante l’apartheid. Là si è cercata una giustizia ricostruttiva, riparativa, non vendicativa. Questo vale per tutta la giustizia “penale”, che dovrebbe obbligare e impegnare gli offensori ad azioni e servizi di possibile riparazione più che far soffrire con la pena chi ha fatto soffrire col delitto. I preti risultanti colpevoli con sentenza definitiva potrebbero, pur accettando la pena, cercare di dare un esempio positivo con forme di riparazione morale.
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