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 463 - Ampolle e rosari

 

Così la Lega combatte il Vangelo

 

A chi volesse cominciare a orientarsi sulle dinamiche che innervano lo scontro tra il Capo della Lega e il Vescovo di Roma, suggerisco l’attenta lettura di due immagini chiarificatrici.

La prima la troviamo nelle pagine iniziali dei quotidiani del 6 giugno scorso. A corredo di articoli, che segnalano «il peso crescente dei voti cattolici a favore della Lega nelle ultime elezioni europee e comunali», essa ci presenta il bel faccione di Salvini che, al culmine di un affollatissimo comizio romano, sta in posa col rosario in mano. Lo porta alla bocca e bacia, con compiaciuta protervia, la piccola croce di legno, doverosamente liberata dal corpo martoriato del Cristo morto.

La seconda non è, come viene subito da ipotizzare, quella del nuovo Papa che, a inizio aprile, tenta di indurre alla pace i “Ras” sud-sudanesi in guerra, prostrandosi ai loro piedi. Non è questa, anche se è ad essa che Salvini intende contrapporre la sua per farci pensare che mentre il Capo della Chiesa bacia piedi islamici e umilia la religione cattolico-romana, il Ministro degli Interni, baciando la croce della Madonna del Rosario, che ha condotto la flotta della Lega Santa alla gloriosa vittoria di Lepanto sui Turchi (1571), esalta il simbolo stesso della supremazia religiosa, civile, culturale, militare ed economica dell’Europa cristiana.

La seconda immagine, più prosaicamente, è un’immagine, altrettanto costruita e studiata, ma più spaesata che inquietante, dell’intronizzazione di un fiume a Dio della Padania (pubblicata per es. sul «Corriere della Sera ‒ Bergamo» del 20-9-2016). Tra i volti divertiti di due bambini e di tre anzianotti, persi chissà dove, ci mostra Umberto Bossi che, in maglione da montagna, occhiali dorati e fede al dito, con aria perplessa, offre agli sguardi di una rada folla dispersa per il Pian del re, una fiala non grande («la sacra ampolla») con l’acqua sorgiva del Po, Padre della Padania e del suo popolo operoso, fiero e felice, che anela alla liberazione da «Roma ladrona» e dal tricolore della schiavitù.

Si tratta di due immagini che, per quanto separate tra loro da più di vent’anni e relative a Segretari della Lega molto diversi, che oggi non si amano e sembrano muoversi verso fini politici apparentemente opposti, hanno in comune ben più di singoli rimandi a rituali religiosi. Mettono in scena l’elemento costitutivo di quel segno di identità ideologica, che proprio per la sua estemporaneità paradossale, caratterizza il sogno leghista di una facile vittoria.

 

«Parigi val ben un rosario»

Tutti in fondo ci siamo chiesti perché mai, nella buona e nella cattiva sorte, Bossi, abbia  trascinato fino al 2015 i suoi fedelissimi dai piedi del Monviso ai canali di Venezia per celebrare una «Festa dei popoli padani», dedicata a un «Dio Po» in cui nessun popolo se l’è mai sentita di riconoscersi e a cui neppure lui ha mai dato il minimo segno di credere. Nel citato articolo commemorativo del ventennio del rito, Davide Ferrario lo spiega così: «La fortuna politica e culturale della Lega è sempre stata basata su un forte senso di identità collettiva. E l’identità collettiva ha bisogno di miti e di riti: inventandosi la Padania e la cerimonia alle sorgenti del Po, Bossi l’ha perfettamente capito. Solo che Bossi e i suoi erano e sono uomini del momento presente, mentre il rito ha bisogno di una lunga storia, di tradizione e mistero» («Corriere della sera ‒ Bergamo», 20-9-2016).

Proprio quello che lì mancava e che Salvini, l’emulo infedele, constatato l’esito infelice dell’improntitudine di Bossi e la bocciatura referendaria della proposta secessionista, si è guardato intorno. Ha annusato l’aria e constatato che i campioni della religione ritualista, necessaria per l’affermarsi della politica leghista, già erano presenti e operanti tra i rappresentanti del tradizionalismo cattolico: coperti avversari del Vaticano II e aperti nostalgici dei labari crociati di costantiniana memoria. Ha buttato il cavolo del regionalismo assoluto e di un paganesimo d’accatto e deciso di provare a salvare la capra dell’assoluto sovranismo. Fatta, quindi, la sua «marcia su Roma», ha sposato l’Italia in tricolore con la benedizione della potentissima lobby dei Mariologi vaticani, polacchi e financo moscoviti, da oltre un secolo a caccia di divini attributi per le Madonne dei loro santuari. Il tutto, sia ben chiaro, a spese di Maria di Nazareth. Questa sì vera donna del popolo.

Salvini dunque crede nella Madonna, quanto e forse più che nel Figlio Gesù, detto il Cristo? Ci crede tanto quanto Bossi credeva nella divinità del Po. Alla Lega piace il rito, perché tranquillizza le coscienze, conferma il risaputo e si attaglia ai benpensanti, ben più della fede, delle opere di misericordia e delle speranze. Piace a molti curiali, chierici di diverso grado. Piace ai teologi di professione, protetti da seminaristiche corazze, ai vescovi cultori della religione di Stato e di ogni forma di totalitarismo, che compri il consenso della loro confessione religiosa concedendo privilegi economici. riconoscimento di autorità etica e diritto di interferenza legislativa.

Fare di potere politico, potere economico, potere giudiziario, potere militare, potere culturale e potere religioso un tutt’uno, almeno nella forma vulgata di culo e camicia, è il sogno di ogni totalitarismo, anche del più secolarizzato. Infatti la cosiddetta «secolarizzazione» non si limita a negare l’esistenza del Dio del monoteismo cristiano, ma ripristina quel vuoto celeste che consente a ogni potente o aggregato di potenti di costruirsi un phanteon a proprio uso e consumo, compreso quello di un monoteismo imperiale o nazionale. Nel nostro caso sia quel monoteismo anti-universalista e sovranista che i profeti biblici e Gesù condannano quando attaccano il ritualismo del sacerdozio templare di Gerusalemme, sia quello imperialista e che gli apologeti cristiani ritroveranno caratterizzare il paganesimo greco e romano dell’età post-augustea, per la propensione a divinizzare ogni nuovo sovrano pur di garantire, con l’istituto dell’«adozione», la sovrapposizione tra potere mondano storico e autorità religiosa eterna.

 

Un sasso nello stagno

Non credo sia puro avventurismo ipotizzare la presenza di venature di neo-paganesimo incipiente nel dibattito che oggi divide i cattolici tra sostenitori della Chiesa dell’ultimo Papa e quella del facente funzione di «Capo effettivo» del Governo.

Ne sono un indice le parole durissime con cui il cardinal Müller, successore di Ratzinger a guida della Congregazione della Dottrina della fede, respinge le critiche, mosse a Salvini dal cardinal Bassetti, per la sua politica dei «porti chiusi ai migranti». Mentre il Presidente della Cei, nominato da papa Francesco, dichiara, infatti, che «non può essere un vero cristiano chi rifiuta di concedere lo sbarco a quanti, fuggendo da guerre e miseria, rischiano di affogare nel Mediterraneo», Müller coi suoi sostenitori, afferma che «dichiarare non cristiano uno che è stato regolarmente battezzato e cresimato, è una bestialità teologica» e che «a fronte di Paesi che vogliono scristianizzare l’Italia e l’Europa, Salvini, che invoca i Santi Patroni dell’Unione Europea ed evoca le sue radici cristiane, è da preferire».

È lecito non cogliere in tali affermazioni l’auspicio di una ricostantinizzazione della Chiesa? Ammetto che tale domanda suona al più come il tonfo di un sasso buttato in uno stagno, già bersagliato da troppi sassi. La mia speranza è che qualcuno abbia la forza e la pazienza di seguire e decriptare i percorsi dei cerchi che, sulle acque di tale stagno, questi sassi vanno e andranno disegnando.

Aldo Bodrato

 

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