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Come aggiornare il tunnel del Fréjus

 

Chi sale le pendici del Catolivier, il monte che sovrasta Oulx, potrà notare specie in inverno e in condizioni di inversione termica, quando in alta quota l’aria è tiepida e carezzevole, una cortina di smog che sfuma il magnifico panorama e sale fino ai duemila metri.

È l’effetto del traffico autostradale composto in gran parte da TIR, 700.000 ogni anno, più di 2000 al giorno. Ricordo che negli anni Sessanta, salendo ad esempio da Beaulard verso il passo dell’Orso, solo qualche fischio di locomotiva rompeva l’incanto silenzioso in un’atmosfera purissima. Amici mi dicono che altrettanto accade in quel gioiello, unico al mondo, che è la Val d’Aosta, percorsa da altri 700.000 tir. Non parliamo poi della Riviera Ligure e della Costa Azzurra, con un traffico pesante di circa 1.600.000 unità. In totale il quadrante occidentale è interessato da un traffico di 3 milioni di tir all’anno. Può anche darsi che sia diminuito, ma non mi sembra trascurabile e di sicuro provoca un gravissimo inquinamento che dovrebbe preoccupare chiunque si interessi alla tutela dell’ambiente. Gli svizzeri infatti (che in genere ci danno lezioni in fatto di sostenibilità ambientale) hanno nel 2016 inaugurato il nuovo tunnel del Gottardo (57 km, attualmente il più lungo tunnel ferroviario del mondo) e stanno lavorando alacremente su altri 60/70 chilometri con un triplice obiettivo: avere una metropolitana veloce tra le loro città, collegarsi ad alta velocità con gli stati vicini e ridurre, se non azzerare, lo smog regalato da italiani e tedeschi con i loro traffici. Non male, direi, per un progetto definito vecchissimo e superato perché nato quando internet era ancora in fasce.

 

Un aereo emette quattro volte di più CO2

Ma di cosa stiamo parlando? Non è tutto, perché il quadrante nord, dal 2025, sarà servito anche dal tunnel di base del Brennero, mentre l’Austria sta completando il traforo del Semmering verso Vienna e altri lavori sono previsti ad est in Slovenia. Il cantone vallese ha fatto una gran festa il 9 dicembre 2007 al passaggio del primo treno nella nuova galleria di base del Loetschberg. Ad ovest invece niente di nuovo. Un traforo, questo sì vecchissimo, e peraltro progettato più di 160 anni fa con straordinaria lungimiranza, a 1300 metri di altezza, con una rampa d’accesso di 40 km da Bussoleno, ripida e tortuosa e comprendente altri 17 km. di gallerie, oltre ai 13 abbondanti del Fréjus. Velocità massima 80-90 km/h, velocità commerciale 65-75. I treni, si sa, non amano le salite, per motivi di aderenza e di energia necessaria. Non a caso la scelta moderna è per i tunnel di base, 500/600 m sul livello del mare. Per trainare treni dello stesso peso al Frejus occorrono tre motrici, al Gottardo una sola.

Il collegamento è importante: un po’ di igiene del linguaggio direbbe non Torino-Lione («Che ce ne importa di andare a Lione?», pare si sia chiesto l’ineffabile Di Maio), ma Milano-Torino-Lyon-Paris, come sta appunto scritto sui tgv che percorrono, a bassa velocità, la linea attuale. Bacini di utenza passeggeri e merci di importanza europea, decine di milioni di persone e milioni di tonnellate di merci, che si tratta di trasferire il più possibile dalla strada alla rotaia. O ce lo siamo dimenticati?

L’alta velocità si è rivelata una scelta giusta che in Italia ha sottratto all’aereo sulla Roma-Milano un terzo del traffico con ottimi risultati per l’ambiente, se è vero, come sta scritto sul retro dei biglietti, che un passeggero in aereo provoca l’emissione in atmosfera di una quantità di CO2 quattro volte superiore a quello in treno. Anche i Notav quando vanno a Roma pare che partano da Porta Susa e scendano a Tiburtina dopo neppure 4 ore, utilizzando Frecciarossa o Italo. Molte persone che non prendevano più il treno dall’infanzia, muovendosi esclusivamente in auto e aereo, si sono riavvicinati a questo mezzo di trasporto, con un approccio culturale diverso e sicuramente positivo per l’ambiente. Non capisco perché se si va da Milano a Roma con l’alta velocità, non si possa fare altrettanto da Milano e Torino a Parigi. Certo in tempi più accettabili degli attuali.

 

Ferragosto 1857

E veniamo ai costi e benefici. Premetto che, se il Cav. Luigi Des Ambrois, vero grande propugnatore del traforo del Fréjus, a partire dagli anni ’40 dell’800, avesse dovuto basarsi su analisi del genere, il tunnel non sarebbe mai stato fatto. Erano allora poche decine le persone che con le diligenze affrontavano quotidianamente il Moncenisio, forse un centinaio con l’apertura della Ferrovia Fell, in parte a cremagliera, che affiancava la strada napoleonica e impiegava 7 ore da Susa a Lanslebourg. Altrettanto dicasi per i carichi di merci.

Cavour (cui fu poi attribuito l’intero merito dell’opera) faticò non poco a ottenere dal Parlamento subalpino gli stanziamenti necessari, al punto che i provvedimenti decisivi furono approvati intorno al Ferragosto del 1857. «Anche questo progetto incontrò forti opposizioni da parte degli uomini di scienza… (Ma) l’esecuzione, ancora perfezionata dal genio inventivo del Sommeiller, corrispose interamente alle previsioni degli ingegneri e dei geologi. Tutti sono a conoscenza dei grandi elogi dell’Europa intera quando il traforo fu inaugurato il giorno di Natale del 1870» (L. Giovine, L. F. Des Ambrois de Nevache, un grande protagonista del risorgimento italiano, Minerva edizioni 2019).

In altra parte della sua opera Des Ambrois parla del Fréjus come di una delle più importanti ferrovie del mondo e non c’è da stupirsi, perché nelle grandi Esposizioni dell’epoca venne spesso affiancato al Canale di Suez. Lo stesso Jules Verne, nel Giro del mondo in 80 giorni, fa percorrere a Phileas Fogg e al suo fido Passepartout l’appena inaugurata galleria del “Cenisio”.

 

Più tir, meno convenienza

Tornando ai nostri giorni, sull’analisi costi-benefici se ne sono viste e sentite di cotte e di crude. Le cifre ballano che è un piacere e il Sen. Airola si è impaperato mica male nel recente dibattito parlamentare. Milioni e miliardi, risparmi totali, risparmi francesi, risparmi italiani. Detto elegantemente: non c’è chiarezza. Ma, al di là  delle cifre, è il metodo che lascia perplessi, almeno in alcuni dei suoi passaggi.

Tra i costi che renderebbero non conveniente l’opera sono infatti calcolati i diminuiti introiti per i pedaggi autostradali e le imposte sul gasolio. Ma non si trattava di fare una scelta politica a favore del trasporto su rotaia? O ci siamo dimenticati anche questo? È chiaro che se i tir prendono il treno (come in Svizzera e in Austria), lo fanno a motore spento e pagano il biglietto e non il pedaggio. Ma attenzione il paradosso è evidente quando si consideri che più tir riusciamo a caricare sui treni e meno diventa conveniente fare il nuovo traforo. Per chiarire meglio: si deve decidere la costruzione di una pista ciclabile e 10.000 automobilisti, si stima, possano lasciare l’auto in garage (perdita di imposte sulla benzina da parte dello Stato, accettabile), la pista si fa. Se invece l’ipotesi è che 50.000 automobilisti passino alla bici (con grandi vantaggi per l’ambiente), la pista non si fa più perché le perdite d’imposta per lo Stato sarebbero evidentemente molto più alte. Un criterio a dir poco delirante, eppure pare che molte associazioni ambientaliste non abbiano battuto ciglio. Questo, insieme ad altri, per carità, molto più seri, è stato uno dei criteri che ha guidato la recente analisi costi/benefici della commissione Ponti. Divenuta punto di riferimento sacrale di veri o sedicenti ambientalisti. Il suo collega al Politecnico di Milano prof. Zucchetti, in una recente intervista radiofonica, ha tuttavia affermato: «Il Prof. Ponti? Fosse per lui le ferrovie le chiuderebbe tutte!».

 

Non bastano le strade

Per capirci, bastano le strade, sia per i passeggeri che per le merci. Prosit! E in effetti ha ragione: in Italia le strade si costruiscono alla grande e nessuno se ne accorge, nemmeno le associazioni ambientaliste. Il raddoppio autostradale del Frejus, spacciato nel 2011 per galleria di sicurezza, entrerà in servizio nel 2020; sono in corso di ultimazione pedemontane varie per circa 200 km e la Brebemi, A35, ha dovuto addirittura ricorrere agli spot televisivi e agli sconti sul pedaggio (cosa mai vista). Almeno inizialmente non la prendeva nessuno, ora avrà sicuramente raggiunto un buon livello di attrattore di traffico e inquinamento…

Ma se, al netto di tutte le più accese e rispettabilissime passioni, il tema della galleria di base del Frejus non fosse che la riprogettazione e l’adeguamento di una vecchia ferrovia? Nel 1954 feci un viaggio in auto con la famiglia. Per andare da Bologna a Firenze si facevano la Futa e la Raticosa (due bellissimi passi, una vera odissea…), poi venne l’Autostrada del Sole e poi ancora la variante di valico, senza alcun rimpianto. Questo non si può fare per una ferrovia? Allora aveva ragione quel commissario europeo che, negli anni ’80, sosteneva che quando in Italia si parla di grandi opere stradali o ferroviarie scoppia il finimondo. Poi tutto si placa e le autostrade si fanno sempre, le ferrovie mai.

 

Un pezzo di futuro

Si sostiene che la realizzazione del TAV strapperà alle generazioni che verranno un altro poco del loro futuro. Io non faccio previsioni, non ho certezze, ma un dubbio sì. Che queste prossime generazioni, visto il degrado e l’inquinamento portato nelle nostre valli dal traffico stradale, magari dicano: «Aoh?! Ma perché avete tardato tanto a fare come in Svizzera e in Austria? (Loetschberg, 34 km, 2007, Alpetransit SBB Cargo, Gottardo 57 km, 2016, Brennero 67 km, 2025, Semmering, 27 km, 2024). Svizzeri e austriaci hanno, almeno in parte, ridato alle loro valli la bellezza di un tempo. Sul fronte occidentale, invece, abbiamo a lungo rischiato la resa senza condizioni al trasporto aereo per i passeggeri e stradale per le merci. Potevate pensarci prima!».

Pier Luigi Quaregna

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