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società
«Chi ha metta, chi non ha prenda», nel cestino calato dal balcone: non si era mai visto il ben-comunismo per le strade! La religione non ne ha approfittato (salvo frange arretrate): papa Francesco ha incarnato la solidarietà, l'avviso che siamo tutti nella stessa barca (come i profughi che arrivano, chiedono soccorso e ci danno la nozione del futuro, se vogliamo capire). «Dittatura sanitaria» Poi, paura, morti inghiottiti nei reparti a terapia intensiva, reciproco sospetto, solitudini. Stagione della mascherina e della distanza dei corpi, dei volti nascosti, ridotti agli occhi (non è cosa da poco). Fino alla comparsa dei vaccini: alternanza di fiducia e di nuove paure per i (pochi) casi di effetti avversi. Grande campagna (stile militare) di vaccinazione, nell'alternarsi di misure di restrizioni e allargamenti, di colori varianti delle regioni. Ecco i due partiti: uno per la scienza che ci salva (la nuova Madonna salus populi Romani), e uno per il sospetto che dietro a tutto ci siano manovre oscure del potere: la “dittatura sanitaria”. Ed ecco i fascisti gridare: libertà! (Anche se la sinistra farebbe un errore se lasciasse alla destra la totale rappresentanza di queste obiezioni) Sotto a tutto il conflitto tra commercio e cura, economia attiva e prudenza sanitaria: anche comprensibile, ma difficile da equilibrare. Tutti vogliono il "ritorno alla normalità". Mito regressivo, quando la cd normalità precedente è la causa del gran guaio inquinamento-pandemia-ingiustizia? Dal mito del progresso alla psicosi del regresso. Viver male e paura di vivere. Pena del contrappasso: noi saccheggiatori saccheggiati, noi divoratori divorati, noi saccenti assaliti dallo sconosciuto, noi sicuri caduti nell'insicurezza. E dunque: accettiamo o ci ribelliamo? Né uno né l'altro. Vedere le cause, rimuoverle razionalmente e moralmente. Ogni avversità è una opportunità. Prospettiva di crescita ecologico-umana senza miti, senza arroganza, con modestia e cautela, con la saggezza di chi non sa. Tagliare subito la miccia accesa del nucleare, dell'armismo che trasforma il pane in armi e l'aratro in lancia, dell'iniquità planetaria, dell'impotenza umana effetto della prepotenza. In questo periodo la scienza si è manifestata in un duplice senso scienza: da un lato fiducia, unica certezza, sostituto della religione; dall’altro anche paura che facciano esperimenti su di noi: cosa c'è in quelle siringhe a tappeto? Potenza e fragilità del sapere scientifico, sbattuto come ogni nostra conoscenza nel mare confuso e ribollente della super-informazione, immenso continuo fluire di vere e false notizie, quasi indistinguibili. Se non distinguiamo più il bianco e il nero (non parliamo della pelle umana), il vero e il falso, confondiamo anche la nostra mano destra con la sinistra (e infatti!...). Allora ci si aggrappa alla propria impressione più prossima, al caso singolo: rischia di non esserci un minimo sapere comune, una lingua, una società. L'incertezza dilagante fa correre ad aggrapparsi alla prima certezza a portata di mano. Il dubbio sulla scienza La paura del buio genera fantasmi, buoni o cattivi. Crediamo che la scienza seria sia di vero aiuto, ma osserviamo il fenomeno della incredulità in questa salvezza. Anche i filosofi intervengono, da una parte e dall'altra. È di aiuto, se fosse ascoltato, chi distingue filosofia e sofistica. Nel complesso, è risorto insomma con maggior forza il dubbio sul progresso. Questo fenomeno è grosso. Ma non era la religione di tutti? È così che stiamo passando da un'epoca all'altra? Al dubbio, come di regola, risponde un fondamentalismo, almeno sul piano pratico. Al fondamentalismo risponde uno scetticismo, almeno pratico. Anche perché la terra sotto i piedi traballa: temperature di fuoco, fuoco sulla terra, bombe d'acqua e alluvioni, allarme climatico. Almeno se ne prende coscienza e si adottano vere decisioni? Come può la politica decidere bene per tutti, se non è concepita come politica per il bene di tutti? A parte le fantasie sulla “dittatura sanitaria” alle porte (anche se l’attenzione alle possibili derive autoritarie è sempre doverosa), qui si tratta di constatare i limiti insiti nella scienza galileiana, che verifica e certifica i propri risultati attraverso osservazioni ed esperimenti (e per farlo necessita di tempi adeguati) e non possiede la sfera di cristallo per dirci quali e quante varianti compariranno e quali o quante pandemie ci attendono. In un mondo che andava divinizzando la scienza come estremo surrogato delle religioni o delle ideologie – e non parliamo qui degli scienziati seri, che sono sempre stati consapevoli dei loro confini – la Grande Incertezza suscita sgomento: e induce a fuggire nella rimozione del problema e/o nell’ansiosa ricerca di un ‘nemico’ cui addossare la ‘colpa’. Cambio d’epoca La pandemia segna dunque un cambio d’epoca. Se tra cent’anni si scriveranno ancora libri di storia, l’anno 2020 segnerà uno spartiacque, almeno quanto il 1945 e assai più del ’68, e forse dello stesso ’89. Risalta, in quest’evento, il carattere assolutamente globale, planetario, che ignora tutte le frontiere della geopolitica e non risparmia nessun territorio e nessuna popolazione. Tuttavia al momento attuale resta difficilissimo misurarne la portata storica e valutarne le dimensioni. Siamo come chi si trova precipitato, quasi all’improvviso, nel mezzo di una bufera (o di una battaglia) imprevedibile e inaudita. Certo, ci arrivano valanghe di informazioni, in cui si alternano la cronaca e i dibattiti e ci si arruola in formazioni contrapposte. Ma ad oggi nessuno è veramente in grado di dirci se e come e quando ne usciremo; e in questi 18 mesi si sono succedute anche da parte delle massime autorità molte indicazioni contraddittorie e molte previsioni smentite. In sostanza, tutti viviamo nella Grande Incertezza: un’incertezza che va molto oltre la diatriba sui vaccini e investe addirittura la fiducia nella sopravvivenza della specie, mentre si incrina la fede nella scienza come garante del nostro futuro. In questo quadro, paradossalmente, pare venuta meno la riflessione – emersa nella prima fase della pandemia – sul crescente squilibrio (e sull’indispensabile riequilibrio) della relazione tra l’uomo e l’ambiente naturale di cui fa parte, e sul tema della mondialità e della diseguaglianza planetaria (senza contare la questione dei brevetti, che meriterebbe un apposito approfondimento), con la conseguente urgenza di una politica lungimirante che ridefinisca a livello locale e planetario le proprie priorità. Giovanni Pagliero e Enrico Peyretti
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