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 484 - Dopo l’attacco «neofascista» alla sede della Cgil

 

Fascismo e neofascismo tra storia e attualità

Non so cosa accadrebbe in Germania se un candidato presidente di un “Land” fosse sorpreso a ricordare convivialmente la data del 30 gennaio 1933, la presa del potere di Hitler.

So invece che un fatto analogo in Italia provoca al massimo risatine e alzate di spalle. Riferisce infatti «La Repubblica» del 4 aprile 2021 che il 28 ottobre ‘19, 97esimo anniversario della marcia su Roma si è svolta una cena rievocativa alla quale hanno partecipato il sindaco di Ascoli e il deputato di Fratelli d’Italia Francesco Acquaroli, eletto l’anno successivo “governatore” delle Marche. Nessuno scandalo. Ma, anche altri amano gli anniversari, e sono i giovani veronesi dello stesso partito che ricordano, nella pagina FB della loro organizzazione, il boia nazista belga «Léon Degrelle 15.06.1906- 31.03. 1994 Per tutti coloro che ancora sognano un secolo di cavalieri». A 27 anni dalla morte. Degrelle, fondatore di un movimento cattolico-nazista chiamato Christus Rex, noto per la sua ferocia, al punto da infastidire persino i suoi padroni tedeschi durante l’occupazione del Belgio, è condannato a morte alla fine della seconda guerra mondiale. Si rifugia in Spagna, dove muore indisturbato nel ’94. La pagina è prontamente cancellata, ma provoca almeno le proteste del Segretario Pd di Padova e del deputato Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana) a livello nazionale. Silenzio di tomba invece da parte di Guido Crosetto e Giorgia Meloni. Del resto la presidente di FdI ha recentemente dichiarato di essere contro nazismo, antisemitismo e razzismo, evitando di aggiungere il termine fascismo, periodo il cui giudizio preferisce lasciare agli storici. Piero Ignazi («Domani», 2.10.21) chiosa: «li leggesse gli storici, per farsi un’idea». È quasi banale ricordare la contiguità tra fascismo e antisemitismo, sfociata nelle leggi razziali che ora, come qualcuno ha osservato, meglio sarebbe definire razziste. «L’ebraismo mondiale è stato, durante 16 anni, malgrado la nostra politica, un nemico irreconciliabile del fascismo», dichiarava Mussolini a Trieste il 18 settembre 1938. E la contiguità col nazismo: dalla guerra, insieme combattuta, alla totale subordinazione dall’ottobre ’43 all’aprile ’45 della repubblica di Salò, con l’annessione al Reich di alcune province italiane.

 

Disagi e ambiguità della destra

Occorre allora qualche approfondimento del nostro passato, anche lontano, in specie dopo i gravi fatti accaduti a Roma sabato 9 ottobre ’21 che hanno palesato una volta di più i disagi e le ambiguità della destra italiana, in specie di FdI e della Lega, non meno coinvolta su questi temi.

Lo storico Francesco Filippi ha scritto alcuni libri dai titoli provocatori, uno in particolare Ma perché siamo ancora fascisti? Un conto rimasto aperto, ponendo l’accento sulla difficoltà di superare quella narrazione che coltiva nostalgie ancora a un secolo di distanza. Ed è facile citare Piero Gobetti quando definisce il fascismo «autobiografia della nazione» o Umberto Eco con il suo «fascismo eterno» degli italiani.

Le vicende storiche spiegano parecchio, se non tutto. La Resistenza è stata una cosa grande e utile nelle sue varie forme, anche militarmente, per la liberazione italiana. Lo riconobbero perfino i comandanti Alleati, ma non fu vissuta in maniera omogenea. L’intero sud ebbe a che fare per pochi giorni con gli occupanti tedeschi, che poi si attestarono per l’inverno ’43-44 sulla c.d. linea Gustav, dalla foce del Garigliano al porto di Ortona. Roma ebbe otto mesi di Resistenza, la Toscana poco più di dieci, mentre l’intero nord si confrontò con tedeschi e collaborazionisti fascisti per quasi venti mesi.

 

Continuità e impunità

La Resistenza partigiana e la cobelligeranza delle truppe regolari del Corpo Italiano di Liberazione evitarono la spartizione tra vincitori che toccò ad Austria e Germania e permisero agli italiani di scegliere, con un voto libero, la Repubblica e l’Assemblea Costituente. Paradossalmente si evitò anche un processo di Norimberga ai criminali di guerra italiani, e, a partire dal Regno del Sud con capitale Brindisi, si posero le basi per una continuità dello Stato e delle sue istituzioni (Claudio Pavone, Gli uomini e la storia). Il vento del sud ben presto spense il gagliardo vento del nord, carico di rinnovamento. Il governo militare alleato richiamò subito in servizio i dipendenti pubblici delle zone liberate, che si trovarono da un giorno all’altro a obbedire ai nuovi padroni e, a guerra finita, transitarono senza scosse al servizio del nuovo stato. È pur vero – si osserva – che molti giovani del sud, specie militari parteciparono attivamente alla Resistenza, valga per tutti il caso di Pompeo Colajanni, siciliano, sorpreso dall’8 settembre a Pinerolo, e divenuto il comandante Nicola Barbato. Ma altro è stare in pena per un congiunto lontano, altro è avere tedeschi e fascisti in casa e vivere nel terrore.

I concetti di defascistizzazione e di epurazione furono rapidamente archiviati, in pratica con la fine del Governo Parri, nel novembre del 1945. Vi contribuì poi, nel giugno 1946, la c.d. amnistia Togliatti, dettata da intento anche apprezzabile di pacificazione, ma foriera in sostanza di impunità. Anche qui un esempio per tutti. Il caso del maresciallo Rodolfo Graziani, responsabile di gravi eccidi in Libia e poi in Etiopia, dove fu viceré, e infine ministro della guerra nella repubblica sociale. Processato nel ’48, libero cittadino nel ’50, fu presidente onorario del Movimento sociale italiano fino al 1954. Questo partito, fondato nel dicembre del 1946, aveva come logo quella fiamma tricolore, che ancora occhieggia, piccola, ai piedi dell’attuale contrassegno di “Fratelli d’Italia”. Ezio Mauro (La Repubblica, 3.10.2021) accenna a «uno spirito dell’epoca (Zeitgeist) che fluttua liquido sul destino incerto del Paese… recuperando così una inconcepibile contemporaneità del fascismo, non come regime, ma come atmosfera politica e culturale».

 

Alla finestra

Una continuità assicurata dalla prevalenza della “zona grigia”, termine usato per la prima volta da Primo Levi, ne I sommersi e i salvati e riferito all’universo concentrazionario, un mondo di mezzo, né con i carnefici, né con le vittime. Non per nulla costituisce il suo ultimo approfondimento sulla terribile esperienza vissuta. In un senso diverso ne parla invece Renzo De Felice, che ne Il rosso e il nero utilizza la stessa espressione per definire chi sta alla finestra e non prende posizione di fronte alla temperie storica; coloro che, insomma, per dirla con Eduardo, attendono che «a’ nuttata sia passata». A detta di De Felice, dopo la svolta dell’8 settembre 1943 la maggioranza degli italiani si comportò così. Pochi scelsero una parte, molti attesero che le acque si calmassero, preoccupati di salvare il salvabile, a partire dal loro potere e dalle loro carriere. Anche qui un esempio è utile. Ce lo fornisce la figura dell’insigne magistrato Gaetano Azzariti, presidente del tribunale della razza, che transita senza problemi nei ranghi della Repubblica e conclude una brillante carriera come secondo presidente della Corte Costituzionale, succedendo ad Enrico De Nicola. Colui che aveva il compito di verificare l’applicazione delle leggi del ’38, è chiamato, neppure 20 anni dopo, ad assicurare l’osservanza dell’art.3: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua… ecc.». In altri casi il giudizio deve essere più prudente: «Per tutta la vita non mi sono perdonato di essermi nascosto ad Alassio, anziché scegliere di affiancare, alla macchia, Italo Calvino e i partigiani liguri», confessava, con grande amarezza, Mario Fazio, urbanista, giornalista, ecologista della prima ora.

Su questa magmatica e multiforme realtà si sovrappose un sottile velo di speranze, opera di grandi politici e intellettuali che si chiama Costituzione Repubblicana, di rara chiarezza e concisione nella parte dei principi, dei diritti e dei doveri, mediocre invece circa il funzionamento delle supreme istituzioni dello Stato. In essa tutte le forze politiche avrebbero dovuto riconoscersi, ma ciò non avvenne e non sarà mai possibile, per la giusta pregiudiziale antifascista che anima tutta la nostra carta fondamentale.

 

Dall’Uomo Qualunque all’Msi

Fin dall’Assemblea costituente erano presenti forze che si richiamavano al passato regime. Antesignano fu l’Uomo Qualunque fondato e diretto da Guglielmo Giannini, giornalista e uomo di teatro. Siamo alla preistoria del potere mediatico che si trasforma in presenza politica. 30 deputati su 556 non sono poi pochissimi, quasi tutti eletti a Roma o nel Sud. Nelle elezioni del 18 aprile 1948, il Movimento Sociale, erede del fascismo di Salò, riuscì ad eleggere 6 deputati e 1 senatore, tutti centro-meridionali. I voti ottenuti, 2%, salirono nelle elezioni successive fin al 9% su base nazionale (56 deputati e 26 senatori alle politiche del 1972) e ancor di più nelle elezioni locali. Mentre a Cuneo quel partito non raggiungeva l’1% (Cuneo brucia ancora, si diceva) e nessun missino aveva il coraggio di farvi un comizio, a Roma il Msi raccoglieva intorno al 20% condizionando, più o meno di sottobanco, molti sindaci democristiani.

Ora siamo stupiti e preoccupati perché un partito, quanto meno agnostico nei confronti del fascismo, sia nei sondaggi quotato come il primo d’Italia, ma le radici sono assai lontane e persistenti. E non si misurano soltanto in termini elettorale, ma si estendono a un’area impalpabile e indefinita di larvato consenso o indifferenza, tipico della “zona grigia”.

Può chiarire le idee la fulminante battuta di Vittorio Foa a Giorgio Pisanò, fondatore, tra l’altro nel ’91 di un partito filonazista: «se aveste vinto voi io sarei in carcere, invece abbiamo vinto noi e tu sei senatore della Repubblica» (per il Msi).

Ryszard Kapuscinsky, grande giornalista e scrittore, ospite di un capo villaggio, in Ghana, si trovò a dover spiegare le vicende della Polonia nella prima metà del ‘900 (Giungla polacca, p. 176). Non era verosimile che un paese di bianchi non avesse mai avuto colonie, anzi che fosse stato a sua volta una colonia ad opera dei paesi vicini. «Con tutto il rispetto per le vostre sofferenze, da noi sono successe cose spaventose, c’erano tram, ristoranti e quartieri “solo per tedeschi”. Ci sono stati i campi di concentramento, la guerra, le esecuzioni», diceva Kapuscinsky suscitando stupore e crescente simpatia negli anziani del villaggio. «Si chiamava fascismo, la peggior specie di colonialismo mai esistita». La penseranno così, un giorno o l’altro, anche gli italiani?

Pier Luigi Quaregna

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