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 488 - Francia, prove pratiche di “nuova” democrazia

 

La legge sul clima, scritta dai cittadini

 

Il 24 agosto 2021 la Francia si è dotata di una nuova legge sulla protezione dell’ecosistema, dall’ambizioso titolo di Loi Climat.

La legge merita attenzione per due motivi: il percorso che ha portato alla sua formulazione, e – ovviamente – i contenuti.

 

Redazione partecipata

Quattro mesi dopo la nascita del movimento dei Jilets Jaunes (ottobre 2018), il presidente francese Emmanuel Macron lanciava l’idea di un grande dibattito nazionale al quale invitare tutti i cittadini francesi. Se i Jilets Jaunes avevano fatto emergere il malcontento – «ras le bol» ‒ di una larga fetta della popolazione, ora il Paese assisteva impaurito alla deriva violenta delle loro manifestazioni con i saccheggi dei centri urbani. Il Grand Debat National (cfr. https://granddebat.fr/) doveva permettere a qualunque cittadino di dire la sua, e di dirla direttamente al Presidente della Repubblica, così come ai Ministri, ai deputati, ai Senatori, ai Consiglieri Regionali o Comunali, fisicamente presenti nelle riunioni convocate dai Sindaci. Tra il 15 gennaio e il 23 marzo 2019 si sono dunque svolti – sotto il controllo di sei personalità indipendenti, garanti della trasparenza e dell’imparzialità dell’organizzazione ‒ oltre diecimila dibattiti in assemblee pubbliche e sono stati raccolti quasi due milioni di messaggi sul sito dedicato. Ogni cittadino partecipante poteva dire la sua; anch’io l’ho fatto nel mio comune di residenza. Tutti i contributi sono stati raccolti in quattro gruppi tematici: Fiscalità e Spesa Pubblica; Democrazia e Cittadinanza; Organizzazione dello Stato e dei Servizi Pubblici; Transizione Ecologica. Purtroppo, le migliaia di pagine che compongono quei dossier contengono infinite espressioni di problemi (tipo «il vero problema è che…», «il problema è un altro…», «non dimentichiamo un altro problema…» ecc.), ma assai scarse indicazioni di soluzioni.

Sul tema sensibile del cambiamento climatico, si è deciso di prolungare l’esercizio, chiedendo ai cittadini stessi di formulare proposte concrete per raggiungere l’obiettivo di ridurre sensibilmente le emissioni di gas a effetto serra. Il 25 aprile 2019, il Presidente della Repubblica ha annunciato l'inizio di un esercizio democratico senza precedenti: la costituzione di una «Convenzione dei cittadini per il clima» (Convention Citoyenne pour le Climat cfr. https://www.conventioncitoyennepourleclimat.fr/). Composta da centocinquanta persone ‒ tutte estratte a sorte, ma in maniera da rappresentare la diversità della società francese – la Convenzione ha ricevuto il mandato di definire una serie di misure concrete tali da ridurre entro il 2030 (rispetto al 1990) di almeno il 40% le emissioni di gas a effetto serra in uno spirito di giustizia sociale. Di più: ai partecipanti è stato chiesto di preparare direttamente i progetti di legge per combattere il cambiamento climatico, e il Presidente della Repubblica si è impegnato a garantire che le loro proposte legislative e regolamentari fossero presentate «senza filtro» al voto del Parlamento.

Per organizzare il proprio lavoro – iniziato il 4 ottobre 2019 ‒ la Convenzione ha ricevuto il supporto di un Comitato di Governance composto da tre garanti per assicurare la neutralità e la sincerità dei dibattiti. Ha richiesto ed effettuato circa 140 audizioni di esperti ‒ scienziati, tecnici e giuristi ‒, di amministratori pubblici e di imprese private, di rappresentanti delle Ong e di sindacalisti (29% del totale). I gruppi di lavoro e le sessioni sono state seguite da professionisti nella partecipazione e nella deliberazione collettiva, che hanno facilitato la libera espressione in fase creativa (tipo «Non esistono buone o cattive idee, tutte meritano di essere annotate») e l’ordinato dibattito in fase di selezione delle 150 proposte finali. Quest’ultima fase non è stata esente da difficoltà e tensioni tra i partecipanti, poco allenati alla dura ma necessaria legge democratica del dover scegliere a maggioranza. Anche questo ha permesso di avvicinare i cittadini all’esercizio parlamentare, facile da criticare, più difficile da praticare.

Il 21 giugno 2020 la Convenzione ha trasmesso 149 proposte a Emmanuel Macron, che ne ha inviate subito 146 all’Assemblée Nationale (il Parlamento francese). Di queste, 56 sono confluite nella Loi Climat, le altre in diverse leggi tra cui, per esempio, la Loi Finance (equivalente della Legge di Bilancio in Italia). Ovviamente nel percorso parlamentare le proposte della Convenzione hanno subito emendamenti e modifiche, come tutte le proposte di legge. Non deve dunque sorprendere che, richiamati per un’ultima seduta straordinaria a esprimere il loro livello di soddisfazione sulla trasformazione in legge delle proposte, i membri della Convenzione si siano dichiarati in media appena passabilmente soddisfatti del risultato finale. Peccato che nessuno abbia loro chiesto di indicare come e quanto fosse cresciuta, con quell’esperienza, la consapevolezza della complessità del processo democratico.

Le 146 proposte della Convenzione erano raggruppate in cinque grandi temi: Spostarsi; Consumare; Abitare; Produrre e Lavorare; Nutrirsi. Vediamo qualcuna delle misure convertite in legge (cfr. https://www.vie-publique.fr/eclairage/281953-loi-climat-et-resilience-des-avancees-et-des-limites), alcune già entrate in vigore, altre scadenzate a termine per raggiungere l’obiettivo di riduzione dei gas ad effetto serra entro il 2030 (tra soli 8 anni!).

 

Spostarsi. Sono ormai vietati i voli aerei nazionali tra due destinazioni collegate da un treno di durata inferiore a due ore e mezza. In altre parole: dovunque ti possa portare un TGV in meno di 2h 30m non ci si potrà più andare in aereo, come per esempio da Parigi a Bordeaux. Il testo iniziale indicava un’alternativa ferroviaria inferiore a quattro ore, ridotta poi in Parlamento, ma l’importante è il principio. Una simile decisione non sarebbe potuta entrare in vigore oggi se qualche lungimirante, 40 anni fa, non avesse dotato la Francia della rete ad alta velocità.

Consumare. Ugualmente sono ormai vietati gli imballaggi in plastica (barchette, sacchetti ecc.) per la vendita di frutta e verdura (sono ammesse eccezioni per la frutta molto deperibile come le fragole…), e i supermercati dovranno progressivamente mettere in vendita prodotti sfusi, a cui – entro il 2030 – dovrà essere consacrata almeno 20% della superficie totale. Evidentemente anche i consumatori dovranno progressivamente abituarsi ad andare a fare la spesa con la propria bottiglia dello shampoo da riempire, con le ceste per la frutta e la verdura, con le tanichette per i detersivi, con i bussolotti per la pasta ecc.

 

Abitare. I contratti d’affitto delle abitazioni la cui classe energetica è F o G (in una scala che va da “A” – ottimo – a “G” – pessimo -) non potranno più essere aumentati a partire dai rinnovi del 2022. L’effetto immediato è stato la brusca perdita di valore di vendita delle case più energivore, i cui proprietari si sono trovati nella condizione di dover rapidamente investire in risparmio energetico (riscaldamento, doppi vetri, coibentazione, pannelli solari, ecc.) per non trovarsi con un pugno di… mattoni. Non vorrei girare il coltello nella piaga, ma è impressionante constatare lo scarto di mentalità tra Francia e Italia su questo specifico tema della conversione energetica delle case. In Francia si obbliga, punto e basta. In Italia lo Stato regala ai cittadini più di quanto hanno speso (super-bonus 110%), tanto paga Pantalone! E c’è persino un partito pentastellato che si ostina a negare che quei soldi – prestati dall’Unione Europea – finiscono prevalentemente in truffe.

 

Produrre e lavorare. Tutti i bandi d’appalto per opere / servizi pubblici devono ormai contenere almeno una clausola che fissi obiettivi di sviluppo sostenibile e di impatto ambientale. Per esempio, in un comune della cintura ovest di Parigi il cantiere di ricostruzione di un isolato di edilizia popolare si è visto attribuire l’obiettivo di reimpiego in loco del 70% dei materiali provenienti dalla demolizione del precedente immobile. In questo modo non solo si limita il consumo di nuovi materiali, ma soprattutto l’impatto CO2 del trasporto di smaltimento e riapprovvigionamento.

 

Nutrirsi. Con l’anno scolastico 2021/2022 in tutte le mense di Francia è entrato in vigore l’obbligo di offrire almeno un pasto settimanale integralmente vegetariano, bio e possibilmente costituito di prodotti locali (meno di 50 km). A Lione il neo-eletto sindaco verde-ecologista Grégory Doucet ha tentato il colpo di mano imponendo alle mense scolastiche della città il vegetariano integrale per tutta la settimana. Nella capitale francese della carne (la famosa Charolais) ha presto capito che nemmeno i suoi elettori lo avrebbero sostenuto, e il provvedimento è stato ritirato. In compenso ha potuto imporre di anticipare già in questo inverno il divieto di utilizzare dispositivi per scaldare i tavolini all’esterno dei bar, la cui entrata in vigore a livello nazionale è programmata per il prossimo autunno.

 

Come si vede da questi pochi esempi, la Loi Climat introduce un importante cambiamento di paradigma, o – per dirla alla francese – una rottura con il pensiero unico neo-liberista: invece di usare la leva del mercato o dei soldi (= inquinare costa di più) si usa quella della proibizione. La prima è meno “liberticida”, ma ingiusta in quanto lascia la libertà di inquinare a chi i soldi può spenderli. La seconda è più ugualitaria, anche se amara da digerire. Ma il cambiamento climatico non sa che farsene delle nostre ideologie, ha bisogno di azioni concrete. E qui ce ne sono.

Stefano Casadio

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