Mappa | 41 utenti on line |
|
home
Nei casi di sequestri (anche la guerra è un grande sequestro, dei combattenti di ambo le parti, delle popolazioni, della politica e delle leggi), siamo presi in una tenaglia estremamente tragica, che è la forza malvagia di quel crimine: se salviamo la vita del sequestrato pagando (in denaro o altri vantaggi) i sequestratori, finanziamo e sosteniamo la violenza, che potrà fare altre vittime; se salviamo il sistema istituzionale, posto a proteggere le vite umane, sacrificando la vita del sequestrato, frustriamo per lui lo scopo stesso dell’istituzione, e anche così premiamo la violenza. Questa seconda soluzione segue il principio di Caifa: «Conviene che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca l’intera nazione» (vangelo di Giovanni 11,50 e 18,14). Questo principio può sembrare dolorosamente giusto, una riduzione del danno quantitativo. Ma implica il danno qualitativo: il sacrificio ingiusto di un innocente, un capro espiatorio, supponendo che sia l’unica via per la salvezza generale. Esclude che ci siano altre vie, quindi non le ricerca. Presuppone che con l’uccidere o il lasciar uccidere uno o pochi si salvi il valore dell’istituzione, che così, invece, non assicura più la vita di tutti. Questa tragedia è irrimediabile? Anche nelle guerre più dure si pratica lo scambio di prigionieri, pure diseguale: una concessione e utilità reciproca, un commercio di vite umane, a parziale rimedio del grande danno, un incrocio tra perdita e guadagno di ciascuna parte, una correzione della logica armata mortale. Senza immaginare soluzioni facili, una via di ricerca per uscire dalla tragedia può essere l’analisi dello scopo dei sequestratori: se è un ricatto economico, conviene trattare, abbassare il prezzo, salvare il sequestrato, possibilmente preparando una trappola senza rischio della sua vita; se è la morte, nessun prezzo di riscatto basterà effettivamente ma occorrerà il tentativo della polizia; se lo scopo è ottenere un riconoscimento, si può concedere tatticamente ciò che, strappato sotto violenza, non ha valore permanente. Se la vita umana è lo scopo dell’istituzione, questa può farsi elastica per realizzare il più possibile il suo scopo. Non fiat iustitia, pereat mundus, ma affinché vi sia giustizia non perisca il mondo. Se la violenza ha il vantaggio di permettersi qualunque mezzo, la giustizia alternativa alla violenza mette in atto tutti i mezzi umani e umanizzanti: la resistenza unitaria che ci obbliga reciprocamente; la parola, per la quale siamo umani; il contratto, che unisce tutti nella convenienza; la ricerca anche di recuperare chi delinque. Come la democrazia, la giustizia si basa sulla fiducia costruttiva verso l’umanità e non su un pessimismo disperato.
indice
Pensieri sparsi sul male e sulla libertà. Audacie e timidezze (Massimiliano Fortuna) in filosofia Tra Pasqua e Pentecoste Primo Levi. La vergogna del giusto Il boia licenzia Dio Leopardi è più religioso di Croce Quanti ebrei ha ucciso la mamma? (Dario Oitana) in società Un nuovo paradigna di coppia di coppia (Mauro Pedrazzoli) Spirito avvisato Cinque brevi articoli sul credere/5 Camminare sull'acqua (Enrico Peyretti) Davanti al mistero della morte cercata (e. p.) in società Se ottant'anni vi sembrano pochi... In ricordo di Giuseppe Barbaglio. Indagine storica e profezia (Mauro Pedrazzoli) in teologia Il Dio bifronte: amore e violenza recensione al libro di G. Barbaglio Amore e violenza (e. p.) Morti sul lavoro, cioè omicidi Frammenti di un diario interiore (Mauro Sambi) Centochiodi recensione al film di E. Olmi (e. p.) Bose. Un aereopago elettronico Leggere e scrivere (Luca Sassetti) Lettere. Fede e teologia di Clara Gennaro (risposta Enrico Peyretti) Lettere. Come difendere la famiglia di Beppe Marasso (risposta Dario Oitana) Lettere. Meno peggio non basta (Giorgio Cingolani ) Memoria. Gianni Bertone
La mancata approvazione il 21 febbraio della relazione di D’Alema sulla politica estera, causa delle dimissioni del governo Prodi, è stato un grave incidente di percorso che si doveva evitare. Se anche Turigliatto e Rossi non fossero stati sufficienti per raggiungere i voti necessari, non hanno fatto l'unica cosa che dovevano fare: votare. Una cosa è perdere con l'opposizione di Cossiga, Andreotti e Pininfarina, una cosa con i senatori della maggioranza. Non ci voleva molto per capire che aver fatto cadere questo governo è equivalso a dare un sterzata a destra alla coalizione. Si stavano facendo alcune cose buone, erano nell'aria provvedimenti con un certo senso. Si sono commessi errori e se ne sarebbero commessi ancora. Il governo Prodi non era certo il meglio che si potesse pretendere. Ma... l'alternativa? Tra un imprenditore che considera l'Italia la sua grande azienda, un razzista confesso che farnetica di un Parlamento del Nord, un ex fascista che nonostante sporadici accenni di ribellione non riesce a evitare di fare da valletto a Berlusconi, un cristiano modello attaccato ai valori della famiglia di cui non è personalmente un esempio, il che dovrebbe indurlo a maggiore discrezione... e Prodi, chi preferire? Per non parlare degli altri al seguito. Il bipolarismo sarà anche “amatriciano”, ma il solo a fare il salto di barricata è stato Follini, quindi il confine tiene. Non siamo d'accordo con la base militare di Vicenza. Non condividiamo l'intervento in Afghanistan. Ma qui c'era l'Italia da salvare. La parola «compromesso» ripugna quasi a tutti (almeno a parole), ma a volte è (tristemente) necessario. Almeno temporaneamente. Non si può far cadere un governo per questo e rischiare di trovarcene un altro molto peggio. Un altro che eravamo riusciti a scacciare e che è sempre rimasto lì ad attendere, perchè sapeva che prima o poi sarebbe tornato il suo momento. Aveva ragione Berlusconi, a sperare ancora. Lui sì che conosce gli italiani e la classe politica di questo paese. In fondo è più facile protestare che governare. È bello poter prendersela con qualcuno e lavarsene le mani. Ciò che otterremo saranno ministeri più a destra, politiche estere più a destra. L’opposizione culturale, politica, e soprattutto morale al sistema mondiale di feroce dominio la si può fare in molti modi. Uno dei meno efficaci è stato far cadere in Italia il governo Prodi. Chi non accetta la differenza tra decisione personale di coscienza e partecipazione in una decisione collettiva, fatta di numeri, e quindi la necessità del compromesso onesto e costoso, può fare il testimone personale, anche solitario, di imperativi umani e morali sentiti in coscienza, come Alex Zanotelli, Gino Strada o Peppe Sini, senza assumersi responsabilità determinanti nella formazione di decisioni collettive istituzionali. La coscienza personale va sempre rispettata, anche quando la discutiamo, ma diversi sono i modi in cui il suo giudizio può esercitarsi nella società, tenendo conto anche di tutte le conseguenze.
indice
Perché sposarsi. Oltre ai Pacs/Dico (Mauro Pedrazzoli) in etica Ci faccio quel che mi pare (citazione di Barbara Spinelli) Difendiamo la famiglia (Dario Oitana) Le foibe, la memoria, il dolore (Massimiliano Fortuna) in storia Crimini di guerra italiani. Non solo impunità, anche silenzio (d. o.) 5 brevi articoli sul credere/4. Critica biblica e fede (Enrico Peyretti) Torino. C'era una volta l'inverno (Dario Oitana) Nella fede morirono (poesia di Luca Sassetti) Un convegno su padre Pellegrino. I primi passi di una biografia in storia La patente di cattolicità (Simona Borello) Il venditore di profumi (salmo sufi) Libri. Fede e nonviolenza di Jean Goss; Istria allo specchio (Enrico Miletto) La sua lode permane in eterno; Non è per un premio (poesie di Luca Sassetti) Preghiera (citazione di G. Capograssi) Afghanistan. Civilizzare il militare (Enrico Peyretti) Erba. Che cosa avvia il meccanismo (e. p.) Una lobby contro la famiglia (citazione di Gian Carlo Caselli) Documento. Vescovi e laici, valori cristiani e leggi civili (lettera di un gruppo di laici cattolici al Vescovo di Torino) in documenti Chi odia le tasse (Claudio Belloni) Apocalittici e integrati (Mino Rosso)
La politica italiana non ci dà molte occasioni di felicità. Sfrattato a gran fatica, quasi un anno fa, il governo degli affari propri, ora siamo alle prese con quello di centro-sinistra. Scontando il fatto che ogni governo regolarmente scontenta più che contentare, perché la realizzazione è sempre inferiore alle molte attese, giuste o ingiuste, questo governo è stato investito dalla ideologia populista dell’odio per le tasse. Ne abbiamo già parlato. Speriamo di vedere che, sui tempi lunghi, la sua politica economica sia giusta ed efficace, non succube del liberismo mondiale iniquo, ma a servizio dei diritti umani, in primo luogo del lavoro possibile per tutti, obiettivo primario e non aleatorio, e quindi di una degna assistenza della società a chi non può più lavorare, assicurata dalla solidarietà e non affidata solo alla preoccupazione privata, che sarebbe una regressione storica. L’altra difficoltà del governo è la sua natura composita, le differenze nella coalizione. Di questo vorremmo parlare un momento in questa nota, con riguardo soprattutto alla politica internazionale. È un fatto che ci troviamo a battagliare, nel dibattito politico culturale, su due fronti, verso sinistra e verso il centro, con impegno e non senza fatiche e incertezze. Siamo certi di esprimere qui anche tanti altri che non mettono su carta quello che pensano e dicono nello scambio quotidiano. Verso sinistra, sentiamo di dover condannare il radicalismo astratto, che arriva a voler abbattere questo governo “guerrafondaio”, senza pensare alle conseguenze, fantasticando una politica del «tutto o niente», che significa niente. Sosteniamo che una cosa sono gli obiettivi ideali, altro è il piano dei passi concreti, parziali, nella gradualità possibile e ben orientata, per avvicinarli. Condividiamo, sul tema pace, le proposte concrete di Lidia Menapace, senatrice e nostra amica, che camminano nella giusta direzione. Ma, della sinistra, comprendiamo il giudizio “antagonista” verso il sistema mondiale attuale, intriso di tanta micidiale violenza prima economica e quindi militare, deliberata e programmata, che fa capo, attraverso il governo Usa, ai poteri arbitrari incontrollati e predatori che decidono vita e morte su tutta l’umanità, e condizionano anche i governi democratici, con totale cinismo. Ogni volta che si leggono i dati dell’iniquità globale, come ora nel World Social Forum di Nairobi, la coscienza si rivolta, e occorrono tutte le risorse morali e storiche per non essere tentati dall’approvare la ribellione violenta, che pure sappiamo, alla scuola di Cristo e di Gandhi, essere imitazione e riproduzione dell’ingiustizia. Ci riconosciamo bene nella cultura politica “altermondialista”, l’unica che può fare sperare all’umanità una sopravvivenza fisica e civile. E vorremmo che la politica operativa comprendesse e decidesse più chiaramente in linea con questo giudizio e questa scelta morale, come un poco sta avvenendo in America Latina. Verso i moderati, i riformisti, gli “estremisti di centro” proviamo lo scandalo della loro insensibilità e pratica sudditanza ai suddetti poteri, sotto nome di civiltà e di democrazia. Quando sono ex-democristiani, ci ricordiamo che Bobbio una volta disse ad uno di noi: «Ho conosciuto tanti democristiani, ma quasi nessun cristiano». E ci dobbiamo chiedere con tristezza se la chiesa risponde al mandato di annunciare il vangelo agli oppressi del mondo o difende di più se stessa e la sua influenza sulla società, sempre più moralmente vana ma politicamente insistente. Quando sono ex-comunisti, vediamo quanto scarsa era l’istanza di vera giustizia in quella politica condizionata dal materialismo, che pure abbiamo allora criticamente appoggiato, alla quale i poveri avevano affidato una «speranza mal riposta» (Primo Mazzolari), speranza oggi franata nella volgare libertà del privatismo berlusconiano. Vediamo bene che l’unica politica possibile e passabile oggi in Italia è questo centro-sinistra, la coalizione tra queste due anime, nonostante la loro differenza non secondaria. Vediamo che chi fa politica operativa deve avere l’infinita pazienza di mediare e moderare, e accettare compromessi purché onesti e orientati, ma non deve perdere di vista le scelte umane di fondo, sulle quali ci si differenzia. E nessuna parte di questa coalizione deve porre ultimatum all’altra, perché spezzare questa composizione è fare un regalo ai più balordi e ribaldi, che usano la politica come terreno di preda. Almeno questa resistenza deve tenere uniti, come un dovere civile. Certo è poco, ma permette di galleggiare e magari nuotare.
indice Finito e infinito: noi e Dio (Aldo Bodrato) La libertà è regolata dalla giustizia (Enrico Peyretti) Nelle file dei moderati (Claudio Belloni) Italia Le tasse odiose che nessuno odia (Dario Oitana) Dire la verità su Vicenza (d. o.) Lettera da sinistra Le settantaseienni spudorate (d. o.) Intervista a padre Coyne S.J. Dio sperava che la vita sarebbe nata (Mauro Pedrazzoli) Polemos Cinque brevi articoli sul credere/3. Perché ho fede (e. p.) Turoldo a 15 anni dalla morte. Ma canterò sempre Quando il popolo si ostina a volere un re (Claudio Belloni) Perché Atahualpa non imprigionò Carlo V. Recensione al libro Armi, acciaio e malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni di Jared Diamond (c. b.) Democrazia, dove sei? Recensione al libro La democrazia che non c’è di Paul Ginsborg (e. p.) Per domare la pantera. Recensione al libro L’identità di Amin Maalouf (e. p.) Nazi-liberismo. Recensione al film Blood Diamond di Edward Zwick (e. p.) Lettere. Vietato dubitare. Dopo Catania. Le parole e i fatti (Piero Stefani) Nonviolenza di fronte alla violenza Memoria. Abbé Pierre Memoria. Luciano Martini (e. p.) Pagina: Indietro 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 Prossima |
|
copyright © 2005 il foglio - ideazione e realizzazione delfino maria rosso - powered by fullxml |