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Il fondo del problema politico è un problema antropologico, cioè morale: quale tipo di essere umano decidiamo di essere? Di conseguenza: come vogliamo vivere con gli altri? Come ci consideriamo a vicenda? Anche nelle recenti elezioni politiche, la demarcazione è stata questa: tra privatismo e politica, tra il prendere per sé e il cercare per tutti. Naturalmente, la linea di demarcazione non è netta, non è tracciata su una scheda, non si calcola in numeri. In ognuno dei due campi può esserci qualcosa dell’altro. Temiamo che complessivamente il privatismo prevalga sulla politica. Chi ha vinto queste elezioni può essere soddisfatto, dopo lo spavento, ma non ha molto da festeggiare, se non lo sfratto dal governo dei peggiori e più pericolosi governanti nella storia della Repubblica. L’ideologia della libertà antisolidale, della libertà dagli altri e dalla legge, ha privatizzato non questo o quel settore economico: ha privatizzato largamente il popolo. Un popolo smembrato in individui senza gli altri è disintegrato, cerca solo un conduttore (conducator, Führer, duce) che gli dia la sensazione di fare qualcosa insieme. Ma insieme ci sarà solo la gara alla reciproca sopraffazione. Vivere senza e contro gli altri piace, illude stoltamente, ma fa anche vergognare: così chi vota per il conduttore, lo nega, facendo fallire i sondaggi. Si fanno cose inconfessabili, sull’esempio del personaggio ammirato. L’affermazione, sebbene limitata, del centro-sinistra è sicuramente un bene per l’Italia. Una metà del popolo italiano resiste a quella deriva morale, ma resiste confusamente. Ha ribrezzo del personaggio che rappresenta quell’andazzo, ma ha poca costruttività culturale e morale da contrapporre all’indecenza. La virtù della socialità costa dentro di noi, più che fuori. Non basta proclamarla, occorre viverla nel quotidiano, nei consumi, negli stili di vita, nella indipendenza dagli idoli brillanti, nel distacco dal possesso e dal successo cretino: tutte virtù morali personali – non private, ma personali, interiori – che richiedono capacità di sacrificio e dedizione costruttiva, disinteresse personale, stima e desiderio dei valori spirituali e umani, amore del prossimo e di chi ha bisogno, dovunque. Ognuno di noi sa che tra credere in questo tipo di socialità e viverlo coerentemente c’è un passaggio quotidiano impegnativo e personalmente costoso. Ma il centro-sinistra, la cultura e la politica di centro-sinistra, almeno propongono al paese questa necessaria qualità civile? Dicono che, più di qualche euro in tasse, ogni cittadino ha da pagare agli altri questo impegno personale per potere procedere insieme in dignità e giustizia, libertà e pace? Oppure il centro-sinistra è soltanto la versione più decente, meno volgare, più “moderata” del diffuso liberismo etico e politico, che riduce la libertà a egoismo di individui e di settori privilegiati dell’umanità? Dobbiamo disperatamente pensare che l’Italia sia tagliata moralmente in due, schizofrenica, nemica di se stessa, apparentemente inguaribile? Oppure, peggio, omogenea sotto bandiere di interessi diversi? Dobbiamo pensare che la vittoria ai punti (scarsi) di una parte conti meno, dal punto di vista della salute del popolo, della diffusione di una bassa morale politica? Dentro ciascuno di noi c’è l’umano e il meno umano, o disumano. Ma vivere è decidere, nelle cose personali e in quelle politiche, tra ciò che umanizza e ciò che disumanizza. Certo, Berlusconi è l’effetto, non la causa della mezza Italia che si riconosce nella sua arroganza plutocratica che irride la legge e chiama “azienda” una comunità civile e politica. Anche la campagna elettorale del centrosinistra si è fatta trascinare nei piccoli calcoli, senza il coraggio di distinguersi più nettamente sul piano civile, costituzionale, sociale, della politica di pace; ha deciso di competere, presso gli elettori, col miserabile spirito adescatore dalla destra, restando sul solo piano economico, dei soldi. Qualche voto di più è un risultato prezioso – confrontiamolo mentalmente con la sciagura di una nuova vittoria della destra! – ma non è una dimostrazione solida della qualità politica nazionale. Il lavoro di ricostruzione dopo gli anni di devastazione delle leggi e del costume, ora è enorme, difficile, ma possibile, perciò doveroso. Cultura, informazione, associazionismo, scuola, chiese, movimenti, ora dobbiamo tutti diventare più umili, più civili e generosi, più collaborativi, per aiutare la società a guarire, a disinfettare lo spirito dal «virus della ricchezza», lungo gli anni, per molti anni, e arrivare più vicini alla salute della solidarietà, della amicizia politica universale, nella «convivialità delle differenze», nel rifiuto di vincere sugli altri per vincere insieme su ciò che ci disumanizza, che molto ha diseducato il nostro popolo, in questo tempo violento e neo-barbaro. Una piccola affermazione in quantità ci impegni nel cercare un’affermazione di qualità, a vantaggio degli stessi adescati dall’egoismo anti-politico. Il primo impegno è, in giugno, la difesa della Costituzione.
indice Il lato buono dell’identità (Enrico Peyretti) - in filosofia Contro la rivendicazione dell’«identità» (Aldo Bodrato) - in filosofia Testa d’oro, piedi d’argilla Auguri, Presidente! E adesso il referendum (Elvio Fassone) Perché metà degli italiani ha votato Berlusconi (Dario Oitana) Appunti su uomo e natura 2. Diffidare del vitalismo (Massimiliano Fortuna) In tutti c’è umanità Considerazioni su Viano. Libertà e verità (Giuseppe Bailone) La Costituzione non consente né morte né guerra Giobbe, o del domandare. Recensione di “Domande a Giobbe. Modernità e dolore” di M. Ciampa, Bruno Mondadori 2005 (Massimiliano Fortuna) Leggendo il Tagebuch. Recensione di “Tagebuch. Il diario del ritorno dal Lager” di L. Milliu, prefazione di P. De Benedetti, Giuntina 2006 (Piero Stefani) Saper dire: ho paura. Recensione di “«Aprirò una strada anche nel deserto». Come affrontare il cancro a viso aperto” di L. Travers Zanotto, Claudiana 2004 (Enrico Peyretti) Gesù dell’oriente (e.p.) Boicottare il Codice da Vinci. Prove di disastro Italiani all’estero. I brogli e il voto (m.r.) Sposereste un casalingo? (Dario Oitana) Messe tricolore Monsignore e il Gay Pride
Abbiamo tutti assistito a una campagna elettorale i cui toni sono stati sempre molto aggressivi, giungendo spesso all’insulto. L’atteggiamento ufficiale della chiesa italiana è parso di cauta prudenza: attento a non sbilanciarsi troppo in favore di una parte politica, ma anche caratterizzato da un’insistenza quasi sclerotica sui consueti temi cari alla gerarchia. I vescovi hanno invitato gli Italiani ad effettuare la propria scelta puntando sullo schieramento politico che garantisca maggiormente la difesa della famiglia, della vita, delle radici cristiane dell’Europa e, non ultima, dell’autonomia dell’insegnamento cattolico nelle scuole pubbliche. Negli appelli dei vescovi, così come nel recente intervento di Benedetto XVI a difesa della vita e della famiglia, si è constatata ancora una volta la grande attenzione della chiesa verso la morale privata, l’esigenza e la pretesa di intervenire con vigore e senza compromessi nelle vicende personali di ogni cittadino, credente e non: ma non altrettanta fermezza di posizioni è stata espressa nei confronti della morale pubblica, in uno stato nel quale la corruzione e il furto sono stati elevati a sistema, come ha scritto recentemente Maurilio Guasco su un mensile di pastorale. I valori morali non negoziabili per la chiesa sono stati ben riassunti dal cardinale Caffarra, che ha inviato ai parroci una lettera in cui elenca come priorità assolute la lotta all’aborto e all’eutanasia, la tutela dell’embrione umano e del matrimonio monogamico fra persone di sesso diverso. La Casa delle libertà si è resa portavoce delle richieste della Cei, ergendosi a baluardo contro gli attacchi all’unità della famiglia e alla vita nel momento del concepimento e nell’appressarsi della morte. Il libretto, intitolato I frutti e l’albero, ricevuto nei giorni scorsi da tutti le associazioni ed enti cattolici, a cura dell’onorevole Bondi, parla chiaro: «Cinque anni di governo Berlusconi letti alla luce della dottrina sociale della Chiesa» è il sottotitolo dell’opuscolo, che snocciola leggi e statistiche per dimostrare l’impegno del governo in favore dei principi morali cristiani. La strumentalizzazione dei temi etici cari alla gerarchia ecclesiastica in funzione di interessi politici è in questo caso evidente, ma ciò che rende perplessi è soprattutto la condotta ambivalente della gerarchia ecclesiastica, che da un lato afferma di non voler dare indicazioni di voto precise e dall’altro sembra guardare favorevolmente al programma del centrodestra, tanto che a leggere la stampa nazionale si ha l’impressione che le associazioni cattoliche abbiano già chiaro a chi dare la propria preferenza. Alcuni vescovi sono addirittura scesi in campo con appelli politici neanche troppo velati, come il presidente della Conferenza episcopale pugliese, monsignor Ruppi, che ha invitato i cittadini a mobilitarsi «per difendere la famiglia dalle aggressioni politiche». In realtà l’elettorato cattolico ufficiale non è così omogeneo: l’ex presidente delle Acli Luigi Bobba e Paola Binetti, appartenente al movimento Scienza e Vita, sono scesi in campo con la Margherita, e molte sono state le lettere di dissenso all’opuscolo promosso da Bondi, a partire da Pax Christi – interventi a cui fra l’altro la stampa non ha dato nessun rilievo. Le suore comboniane di Palermo hanno indirizzato a Berlusconi e a Bondi una lettera di protesta particolarmente efficace e umana, con un appello accorato che possiamo senza dubbio fare nostro: «vi chiediamo di non sfruttare in modo indegno il Vangelo e la Sposa di Cristo, la Chiesa. E questa Sposa-Madre Chiesa non scenda più a compromessi con la politica».
indice La fine della caduta (Mauro Pedrazzoli) - in bibbia Settimana Santa (Aldo Bodrato) Velare il desiderio (Elisa Lurgo) Il Corano a scuola Appunti su uomo e natura 1. Tra ecologismo e menfreghismo (Massimiliano Fortuna) Gadamer. La trascendenza negli altri L’altra storia 2. Fratelli d’Italia (Dario Oitana) - in storia I Vangeli apocrifi dell’infanzia, tra mito leggenda e fiaba. Maria e Maya (Tullia Chiarioni) Hebel grida. Nulla e relazione (Enrico Peyretti) Compleanni (e.p.) Violenza Democrazia senza legge. Recensione di “Il Caimano” di Nanni Moretti (e.p.) Uccisi e uccisori (Luca Sassetti) Innocenti (Luca Sassetti) Prodigio promesso (Luca Sassetti) Nuovo pensiero: Rosenzweig. Ancora attuale o non ancora attuato? (Claudio Belloni) - in filosofia Quantità e qualità in democrazia. Recensione di “Principî e voti. La Corte costituzionale e la politica” di G. Zagrebelsky, Einaudi 2005 (Enrico Peyretti) Sciopero a Parigi (Stefano Casadio) I due “no” mancanti (Carlo Chiampo) Sciacallaggio (Paola Merlo) Alabarde vaticane Il problema mio, il problema degli altri Stature (e.p.)
Torino olimpiaca è stata sotto i riflettori per due settimane. La nostra città ha sentito più l’imbarazzo o la vanità? Torino aveva la religione del lavoro. Anche troppo: come ogni religione monologica, era un po’ opprimente, mortificante. Però produceva una città seria e sobria: questi erano i suoi principali caratteri, e forse lo sono ancora, in parte. I contadini venuti in città dalle campagne al tempo dei re, poi, nel Novecento i veneti e i meridionali, predisposti da tradizione o necessità, assimilavano quella religione e quei caratteri. Torino ha inventato l’automobile, con tutta la meccanica dell’indotto: un mestiere della precisione. Pochi sanno che esisteva un vocabolario popolare operaio delle micromisure di precisione: na frisa = mm 0,001, na bërlicà = mm 0,01, un cicinin = mm 0,015, un pluch = mm 0,045, n’idéja = mm 0,1, na flapà = mm 3 ecc. La struttura sociale era signorile-servile: gli Agnelli e gli operai, sovrani e sudditi. Ma proprio qui maturò l’emancipazione operaia, il movimento e la politica operaia. Restavano nelle vie i nomi di re e principi, ma Torino diventava repubblicana. A questa scuola sono venuti gli immigrati italiani e stavano arrivando gli immigrati mediterranei, quando li ha preceduti la trasformazione post-fordista della produzione: i cittadini operai ritornavano sudditi superflui, clientes del signore. Poi la crisi dell’auto, per pigrizia inventiva davanti alla saturazione quantitativa e al danno ecologico. Torino era disorientata. Nuova invenzione: l’immateriale, il turismo, fino a queste olimpiadi, il gioco, la festa. Anche di notte, alla romana, dopo tanto tenere le distanze, anche se qui il leghismo becero e razzista non ha mai davvero attecchito: siamo signori noi, anche i poveri. Torino può produrre immateriale, più che auto e materiale. Ha bellezza naturale, arte a sufficienza, cultura depositata e cultura viva nel dibattito, creatività non di sola schiuma. Ha storia (un bel po’ principesca e militaresca, ma sa ben bene criticarla). Può essere centro di turismo intelligente e colto. Può essere di nuovo capitale – possiamo dirlo, con sobrio orgoglio e speranza – di un contributo civile e politico per la nuova convivenza con gli immigrati, che vuol dire la nuova cittadinanza, nonostante tutti i problemi dell’accoglienza e dell’integrazione. Può essere nuovamente laboratorio, nel rispetto dei caratteri propri delle culture, nella produzione feconda di meticciato culturale e civile. Potrà anche produrre nel campo delle tecnologie immateriali, della comunicazione. Potrà? Vediamo alcune condizioni: che la classe dirigente eletta, ma ancor più il sottobosco dei decisori perché forniti di potenza sociale, smaltiscono la sbornia che oggi li confonde, cioè la cultura dell’apparenza, dell’immediato effimero, dello spreco brillante; che la classe intellettuale pensi a pensare, non ad apparire sulla scena, e che guardi il mondo intero, responsabilmente, da questo angolo di buona osservazione; che le chiese e le religioni presenti si parlino seriamente per ascoltarsi, per immettere nella vita sociale i più autentici valori comuni umani delle loro tradizioni. I torinesi vecchi e nuovi sapranno capire, passata la festa. Perché, se non capiremo, diventeremo un altro supermercato del niente, venduto e comprato.
indice Chiedere a Dio ragione di Auschwitz non è titanismo (Aldo Bodrato) - teologia Donne (Simona Borello) Piccola replica ai culturi dell’identità (a.b.) Il canto che nessuno sente (Floriselda López de la Cruz) Martiri 2006 Torino 2006. A tutte olimpiadi Una preoccupazione e un rammarico (Lidia Maggi) La vodka non fa niente (a.r.) Aviaria. Aiuto, un’auto! (d.o.) Agiografia femminile 3. La scelta di Caterina (Elisa Lurgo) Per il futuro dell’umanità 3. San Matusalemme (Alberto Bosi) L’altra storia 1. E lo chiamano Risorgimento (Dario Oitana) - in storia Bestemmia nazionale (d.o.) Forum “Tutte le valli di Susa”. Torino, come va? (Enrico Peyretti) Alta capacità: perché no (Enrico Guastini) Ma perché tanta sfiducia nella tecnologia (Luciano Battocchio) Infrastruttura e trazione (Stefano Casadio) Memoria. Sued Benkhadim (e.p.) Pagina: Indietro 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 Prossima |
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