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editoriali
Dopo le polemiche politiche che hanno accompagnato l'approvazione del documento Unesco sul trattamento cui è sottoposto il patrimonio artistico-culturale di Gerusalemme dal 1980, anno in cui è stata unilateralmente proclamata capitale “unica e indivisibile” di Israele, è utile chiedersi se essa sia mai stata capitale di uno stato ebraico, unico e indiviso. È chiaro infatti che, alla base del problema sollevato, sta una doppia questione. Da una parte c'è la pretesa degli Israeliani e dei Palestinesi di fare di Gerusalemme il centro amministrativo e politico della propria nazione; dall'altra la rivendicazione degli uni e degli altri a considerare questa città la culla della propria civiltà e della propria religione. Sono due esigenze che si giustificano col richiamo al passato di una stessa entità geografica e storica, ma che possono trovare una giusta soluzione solo se si riesce a fare accettare ai due contendenti la necessità di non sovrapporle. Questo sia perché nella millenaria avventura di Gerusalemme mai si sono significativamente sovrapposte, sia perché quando l'Onu, dopo la seconda guerra mondiale, fu chiamata a decidere sulla divisione della Palestina tra arabi ed ebrei, propose che le due nuove nazioni scegliessero per le relative sedi governative due città diverse da Gerusalemme, così che questa, come centro religioso e culturale di fedi diverse, godesse di uno statuto giuridico tutto suo. Nasce da questa considerazione la domanda a cui tenteremo di rispondere col nostro editoriale e che ora possiamo così formulare: «Dato per acquisito che la storia religiosa biblica e coranica e la storia laica post biblica e post coranica riservano a Gerusalemme un ruolo culturale e spirituale fondamentale per ebrei, cristiani, e mussulmani, siamo in grado di affermare che ciò attesta pure che essa è stata un tempo capitale di uno stato ebraico e/o islamico e che tale deve tornare ad essere?». Non potendo qui seguire passo passo le complicate vicende storiche di questa città, ci limitiamo a indicarne i passaggi essenziali. La preistoria ci segnala tracce della presenza di insediamenti umani fin dal IV e III millennio a. C. su un'alta collina, più tardi identificata da ebrei e islamici col leggendario monte di Moria, dove sarebbe avvenuto il sacrifico di Isacco o Ismaele da parte di Abramo, antenato comune di Israeliti e Arabi. Ma tale sito entra nella storia col nome di Shalem, fortezza santuario dei Gebusei, grazie al racconto biblico della sua conquista da parte di Davide. I Gebusei sono per la Bibbia un'etnia locale, avventurosamente sottrattasi alla conquista di Canaan da parte delle dodici tribù di Israele provenienti dall'Egitto. Davide è il generale giudeo che succede al primo re d'Israele Saul e che trasforma Shalem in “Città di Davide”, detta anche Sion (fortezza) e Yerusahlaym, da cui Gerusalemme, la città destinata a ospitare il tempio di Salomone e a restare capitale di Israele non più di un secolo. Infatti, a seguito della separazione delle 10 tribù del nord dalle tribù di Giuda e Beniamino, Gerusalemme passa a svolgere il ruolo di capitale del piccolo regno di Giuda, mentre sarà Samaria ad avere il titolo di capitale di quello di Israele. Quale triste sorte tocchi a questi due regni ben lo sappiamo. Mentre Israele e Samaria vengono conquistate e distrutte dagli Assiri nell'VIII secolo, senza lasciare rilevanti tracce storiche del loro passato, i Giudei di Gerusalemme, pur andando incontro ad analoga tragedia ad opera dei Babilonesi (VI secolo), ridotti a “piccolo resto”, mantengono, rinnovandola, la loro identità e, grazie alla parziale autonomia loro concessa da Dario (V secolo), possono tornare a parlare della loro città come del luogo dove si realizzeranno le promesse fatte da Dio ad Abramo e Giacobbe. Ma questa nuova attenzione alla “città santa ed eterna” non si riferisce più a una realtà storica fattuale. Il richiamo al “Regno di Davide” comincia ad acquisire valore di simbolo escatologico sul futuro di Israele. In tale veste, non ha più diretta valenza politica, ma acquisisce una finalizzazione etico-religiosa che può realizzarsi senza la configurazione giuridica di un vero e proprio stato. Dopo l'esilio babilonese Gerusalemme resterà dunque capoluogo di una regione o di un protettorato imperiale e non tornerà più, per quasi tre millenni, ad essere capitale di un'entità politica e geografica indipendente, che possa dirsi davvero Stato di Israele o di Giuda. Tali non saranno il regno degli Asmonei (143-63 a. C.), frutto della rivolta dei Maccabei, e quello di Erode il Grande col suo nuovissimo Tempio (36-6 a. C.), nati e conservati ambedue all'ombra dei Romani. E meno ancora saranno embrioni di stato gli effimeri giorni d'indipendenza delle rivolte antiromane del 70 e del 143 d. C. Esse anzi inaugureranno ben diciotto secoli di diaspora e di esilio, con la conseguente graduale ripopolazione della città e della regione limitrofa da parte dei nuovi padroni: Roma pagana e Costantinopoli cristiana fino all'VIII secolo, gli Arabi a ruota e i successivi imperi islamici, Ottomani compresi, fino all'inizio del secolo scorso. Nessuno afferma che tale diaspora abbia significato la fine di una presenza concreta e significativa di ebrei, dentro e fuori le mura di al Quds (questo il nome arabo di Gerusalemme) e ancor meno che, questa città, come ideale meta di un nuovo e più stabile ritorno degli Ebrei all'antica culla del loro popolo, non sia rimasta sempre viva presenza nella mente e nel cuore dei discendenti degli esiliati. Ma è altrettanto assodato che, sui tre millenni della storia in cui Gerusalemme / al Quds è stata centro religioso e culturale, Città Santa, prima di ebrei, poi di ebrei e cristiani, quindi di ebrei, cristiani e musulmani, ha avuto ruolo di capitale del Regno unito di Giuda ed Israele un secolo solo, più altri due come capoluogo della Giudea. Ciò sia detto senza tener conto delle ultime acquisizioni delle ricerche di importanti archeologi ed esegeti ebrei e cristiani, credenti e non credenti, che mettono in discussione l'attendibilità delle notizie storiche che la Bibbia ci offre sulle origini di Israele dai Patriarchi a Mosè, da Mosè ai regni di Davide e Salomone. Se ne tenessimo conto ci obbligheremmo a una totale riscrittura della storia antica di Israele e di una radicale reinterpretazione esegetica e teologica della Bibbia intera. Qui non possiamo farlo, anche se confermerebbe il dubbio che sia storicamente fondata la pretesa di Ebrei e di Palestinesi di trattare Gerusalemme come la capitale di un proprio stato. Nessun evento della storia, passata o presente, può da solo costituire valida premessa a nuovi e desiderabili eventi storici, quasi l'uno stesse all'altro come sua causa o fine. La storia liberamente conserva e/o innova. Nel caso di Gerusalemme, la vecchia proposta dell'Onu di tenere distinto il problema della capitale politica dello stato, da quello della città-fondamento comune di diverse fedi e di diverse culture, adattata ai tempi e alle situazioni nuove, dovrebbe, secondo noi, ritornare al centro dell'attenzione dei contendenti e dei mediatori internazionali come la chiave per aprire una delle tante porte che aprono la strada a una possibile trattativa di pace credibile e risolutiva. □
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