Mappa | 494 utenti on line |
|
editoriali
Ci aspettavamo una vittoria del sì nel referendum sull’accordo Fiat di Natale. Ma la vittoria è stata di stretta misura, col voto decisivo degli impiegati. Dunque la metà degli operai ha avuto il coraggio di rischiare, e rischiare forte, per affermare i diritti sanciti dalla Costituzione, che sono i diritti non solo degli operai ma di tutti. Bravi operai, più coraggiosi di molti intellettuali. La sconfitta del no è stata meno netta della sconfitta della Cgil nel 1955. Ma tutta questa vicenda deve portarci a riflessioni più approfondite. Chi sfrutta e chi è sfruttato? Come giustamente è stato detto, anche Marchionne è in qualche modo «sfruttato». Da chi? Dal capitalismo crudele e selvaggio. Senza dubbio. Che il capitale finanziario mondiale a più teste sia del tutto sciolto da ogni legge e possa viaggiare e trapiantarsi dove vuole e dove più gli conviene, senza fissarsi né impegnarsi con chi, persona o popolo, ha bisogno di lavorare per vivere, è il dato primo e grave dell’attuale disordine mondiale. Una legge mondiale a difesa del lavoro umano è postulata nei grandi diritti umani, ma non c’è. Questo è il fatto di maggior peso civile e politico, oggi, e di impegno umanizzante, che la vicenda Fiat manifesta. E poi c’è il capitalismo della superpotenza cinese, che sfrutta tutto il mondo. Là i dipendenti sono privi di qualsiasi diritto e perciò il costo del lavoro è minimo e, nella logica del "libero mercato", libero da ogni regola, il loro esempio tende a estendersi. Anche in Italia ci sono milioni di «sfruttatori», non solo Marchionne, il governo, ecc. Paradossalmente sono anche coloro il cui reddito e il cui posto di lavoro è garantito: statali, pensionati con buona pensione, ecc. Cosicché un naturale diritto appare un privilegio di fronte a chi ne è privato. Ma ci sono categorie di lavoratori (per non parlare di immigrati, disoccupati e di persone ancora più emarginate) che sono sfruttati più degli operai della Fiat: dipendenti di piccole, piccolissime imprese che non si sognerebbero mai di scioperare, che sono costretti a tacere sempre e di cui società civile, sindacati, partiti non si occupano. Anche parecchi lavoratori che si erano illusi di mettersi "in proprio" si trovano spesso in una situazione peggiore degli operai Fiat. Tutta una parte – per alcune fasce generazionali dominante – di lavoratori non hanno un inquadramento, vivono di stage poco (e male) retribuiti, partita Iva per decisione altrui, contratti a progetto. In questi contesti è ancora piu' impensabile la lotta per i diritti di cui si parla, semplicemente perché non ci sono: quello che si perde oggi per alcuni, per altri non è mai arrivato e mai arriverà. Occorre perciò uno sforzo per liberarci da vecchi schemi e capire che è in atto (e lo sarà sempre di più), effetto della «rivoluzione dei ricchi», anche una guerra fra poveri, o di sedicenti poveri, contro altri che poveri lo sono per davvero. Quando, nel 1893, operai francesi hanno massacrato gli operai italiani a Aigues Mortes, chi erano gli «sfruttati» e gli «sfruttatori»? (cfr. foglio 368) Occorre diventare più ecologici non solo nelle piccole cose, ma anche e soprattutto in un modo diverso di vivere e di consumare. Il dramma Fiat è il dramma della valanga di auto che ci piove addosso, ci ha invaso e non sappiamo dove mettere. Ma ogni giorno siamo bombardati dalla valanga di pubblicità, in particolare dell'auto. Il sindacato sbaglia a non porsi davvero questo problema di giustizia e di vita. Vivere fino in fondo l'annuncio di Gesù, la Buona Notizia ai Poveri, significa ritenere un valore «non negoziabile» (per usare un termine caro ai gerarchi) la scelta di Dio contro mammona, l'idolo degli idoli. È una scelta obbligata per chi si professa anche solo un po' cristiano, anche se non può essere imposta ad altri, come hanno preteso Lenin, Stalin, Mao, Pol Pot. Una persona veramente libera da mammona può ridere delle minacce degli idolatri del dio-denaro. E così pure non deve demonizzare le tasse. Non siamo più nel Medio Evo, e neppure ai tempi della tassa sul macinato! Non possiamo chiuderci nel nostro guscio. Molti operai ci hanno dato un esempio stimolante. Non dobbiamo avere paura di rischiare, giorno per giorno. Se non siamo schiavi di mammona, dovremmo tentare di diffondere questi valori alternativi. o
Per almeno due volte, in momenti di rischio politico per il governo di destra, il papa ha sentito il dovere di sostenerlo per aver «difeso il Crocefisso». Noi possiamo capire che per prudenza diplomatica, come capo del Vaticano, egli abbia potuto tacere sul grave scandalo morale dato a tutti gli Italiani dal Presidente del Consiglio con una condotta privata e con pubbliche dichiarazioni lesive dei principi etici più cari alla precettistica magisteriale. Ma ci chiediamo come si possa ringraziare per la tutela del principale simbolo cristiano un governo che ha teorizzato e messo in atto una legislazione che comporta sia il rifiuto di dare ospitalità agli stranieri, sia il peggioramento delle condizioni di vita di poveri e carcerati. Non ha forse proclamato il Nazareno, poco prima della sua crocefissione: «Ogni volta che non avete fatto una di queste cose (dare da mangiare, da bere, ospitare, vestire, soccorrere) a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me» (Mt 25,45)? Se teniamo conto poi che il papa, pochi giorni dopo, è ritornato sul tema aggiungendo che sono contro la libertà religiosa, non solo i terroristi mediorientali, ma tutti gli stati «che promuovono per legge stili di vita contrari ai principi della fede come l'educazione sessuale o civile (sic) nella scuola e la disgregazione della famiglia, non difendono la vita nascente ricorrendo a manipolazioni genetiche, contraccezione o aborto, o limitando il diritto dei medici all'obiezione di coscienza; ma vietano pure la pubblica esposizione dei simboli sacri come il Crocefisso», abbiamo il quadro pieno della confusione spirituale e morale dei vertici del cattolicesimo. Questo tanto più che da tale elenco di legislazione anticristiana mancano del tutto i temi della giustizia sociale e della carità, oltre che un cenno, almeno, alla predilezione del Dio di Gesù Cristo per i poveri, gli stranieri e tutti gli infelici ed emarginati della terra. Non è forse il comandamento di amare Dio nel prossimo più diseredato il cuore pulsante della teologia e dell'etica evangelica? Non sopravanza forse la charitas, secondo le lettere di Giovanni e di Paolo, ogni virtù cristiana, comprese fede e speranza? Quale stato se non è laico e aconfessionale può garantire a tutte le fedi e assenze di fede la libertà di seguire le proprie convinzioni religiose e di coscienza? Chi imbocca il papa? Chi mai, tra tutti coloro che come noi sono figli di questa chiesa, potrà sfuggire il giorno del giudizio alla sentenza «Via, lontano da me, maledetti» (Mt 25,41)? o
«Ma Pelvi non è da solo, l’“Avvenire” lo segue a ruota e la Presidenza della Cei ha detto che gli alpini svolgevano il loro lavoro “a servizio della pace”. «Tutti i veri pacifisti, soprattutto quelli che si ispirano all’Evangelo, hanno il dovere di gridare ad alta voce che il re è nudo, che, cioè, in Afghanistan i militari italiani, in palese violazione dell’art. 11 della Costituzione, partecipano a una guerra, non difensiva ma offensiva, in cui i conclamati propositi di aiuto alla società civile sono di fatto una foglia di fico che non serve più da tempo a nascondere la realtà. Si tratta di una guerra brutale come sempre pagata dai più deboli che sono le vittime civili, e i militari che vi muoiono non sono eroi ma solo nostri fratelli caduti sul lavoro come tanti, ogni giorno, nei nostri cantieri e nelle nostre fabbriche». Devono disprezzare il popolo italiano quelli che farneticano sugli «eroici caduti». Caduti che sono andati in Afghanistan per il loro mestiere delle armi. Ma supponiamo che siano davvero degli idealisti. Quanti sono i caduti sia per incidenti sul lavoro, sia in seguito a una vita dedicata al lavoro, per il bene della comunità nazionale, per la patria, caduti per un malore, magari di notte, senza soccorsi? Sono caduti avendo per divisa un pigiama, senza l'omaggio delle varie "autorità", senza che la tivù dedichi loro un secondo. La storia italiana ha visto anche stragi di povera gente, trucidata in guerra o assassinata dalla miseria e dall'ignoranza. Ma per i 150 dell’Unità d’Italia, dovremo sorbirci un continuo inno al militarismo? Se c'è una cosa di cui gloriarci, è che gli italiani spesso sono stati degli ottimi «combattenti» come lavoratori. Sono in media tre al giorno i morti sul lavoro. Napolitano lo ricorda spesso. L'idea della patria in armi e delle armi che sono la patria è un cancro politico da sradicare. L’articolo 1 della Costituzione dice che la patria è fondata sul lavoro. Nel senso umano pieno della parola. o Pagina: Indietro 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 Prossima |
|
copyright © 2005 il foglio - ideazione e realizzazione delfino maria rosso - powered by fullxml |