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editoriali
Pubblichiamo, facendolo nostro, il comunicato stampa del «Granello di senape» dal titolo «Il volto di ogni uomo è immagine di Dio. Un’opinione cristiana sull’emergenza sicurezza» sui recenti fatti di Napoli, Milano e Roma in merito alla situazione degli immigrati e dei rom nel nostro paese e sulle soluzioni proposte dal governo (http://chiccodisenape.wordpress.com/). Circa 200mila sorelle e fratelli zingari, in gran parte italiani, abitano oggi in Italia. Molti di loro sono oggetto negli ultimi giorni di persecuzioni intollerabili. Gli zingari, e con loro tutti gli immigrati, appaiono ad alcuni nostri concittadini come nemici da odiare, respingere, rifiutare. Sono sotto i nostri occhi azioni che esprimono odio verso il diverso, un odio che la nostra storia occidentale ha già conosciuto. Alcuni italiani credono che il rifiuto di chi è ritenuto “diverso” crei sicurezza per il territorio. Il bisogno di sicurezza appartiene a ogni essere umano, a ogni comunità, a ogni popolo: la sicurezza è diritto e speranza di ogni uomo. È il bisogno di sentirci rispettati, protetti, amati. Il bisogno di vivere in pace, di incontrare disponibilità e collaborazione nel nostro prossimo. Da molto tempo questa concezione della sicurezza sta franando di fronte alle paure degli italiani. Paure provocate dall’incertezza economica – che riguarda un numero sempre maggiore di persone – e dalla presenza nelle nostre città di persone sradicate e povere che hanno dovuto lasciare i loro paesi proprio nella speranza di una vita migliore. La vera sicurezza è una prospettiva di vita degna di essere vissuta per noi e per i nostri figli, la possibilità di vivere in un ambiente accettabile e ospitale, sapere di non essere considerati rifiuti per il solo fatto di essere vecchi o malati. Senza questo non saremo mai sicuri. Sappiamo bene che le ragioni della paura e dell’inquietudine stanno anche nella diffusione di forme odiose di criminalità e di comportamenti devianti – dei nativi e degli immigrati –, ma crediamo che la sicurezza sia una cosa terribilmente seria e delicata e come tale vada affrontata. Sappiamo che occorre governare fenomeni sociali complessi: offrire un’informazione che aiuti a comprendere la complessità del reale e non a proporre false equazioni tra immigrazione e criminalità seminando odio e paura. Occorrono politiche di integrazione rigorose e lungimiranti: interventi di riqualificazione del territorio, politiche penali rinnovate, che fondino la legalità sulla prossimità e sulla giustizia sociale. Crediamo che si costruisca sicurezza laddove si costruisce accoglienza, dove le persone si sentono riconosciute, dove i cittadini partecipano alla vita comune. Come credenti ricordiamo la preghiera di Gesù nell’ultima cena quando affida al Padre i suoi chiedendo che siano uno, come Lui e il Padre sono uno. Indicava cosi nell’essere uniti e coesi il valore più prezioso, lasciando come testamento uno stile di vita. Non possiamo dimenticare questa richiesta ai discepoli di essere strumento di unità. Chiediamo ai fratelli credenti, ai figli di Abramo, uomo dell’accoglienza della volontà di Dio e di ogni ospite che si affaccia alla sua tenda, di non abbandonare la speranza e di lottare perché nel volto di ogni uomo sia rispettata, riconosciuta ed amata l’immagine di Dio. E chiediamo ai nostri Pastori di accompagnare con voce forte la presenza del messaggio di amore che il Cristo ha affidato ai suoi, sostenendo ogni azione di servizio ai più deboli, nella tradizione dei discepoli dell’unico vero Maestro, che non ha rinunciato a combattere e denunciare ogni ingiustizia. Il grido dell’Apocalisse «Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca» (3,15-16) scuota le nostre coscienze. Torino, 21 maggio 2008
La vera novità delle elezioni politiche del 13 e 14 aprile non è la vittoria della coalizione guidata da Silvio Berlusconi: l’evento era ampiamente previsto da tempo, anche se con un’incertezza relativa alle sue dimensioni (soprattutto al Senato). L’innovazione risiede invece nella vistosa semplificazione della rappresentanza parlamentare. Dalla ventina di partiti e partitini presenti nelle Camere uscenti si è passati di colpo a soltanto sei formazioni: il Partito democratico, l’Italia dei Valori, l’Udc (peraltro quasi cancellata dal Senato se non fosse per i tre seggi conquistati in Sicilia), il Popolo della libertà, la Lega Nord e il Movimento per l’autonomia. Ad essi si aggiunge, in entrambe le assemblee, una manciata di rappresentanti dei partiti localisti della Valle d’Aosta e dell’Alto Adige. Le due coalizioni larghe ed eterogenee che avevano finora imbrigliato la frantumazione partitica si sono dissolte, lasciando spazio ad un quadro che pare strutturarsi su tre poli maggiormente compatti: a sinistra il Pd, alleato col partito di Antonio Di Pietro; a destra la coalizione Pdl-Lega-Mpa; al centro un piccolo polo rappresentato da un’Udc che, al momento attuale, sembra intenzionata a restare autonoma. È certamente ancora troppo presto per affermare che tale configurazione sia destinata a caratterizzare il sistema politico negli anni a venire; la stabilizzazione dei partiti pare infatti ancora lontana dall’essere definitiva. In ogni caso la semplificazione del quadro partitico è innegabile. Essa, com’è noto, è la conseguenza della decisione assunta da Walter Veltroni di giocare la partita a dispetto dei vincoli della legge elettorale sbarazzandosi della megacoalizione di centrosinistra che aveva sostenuto il governo Prodi; decisione che, per reazione, ha scatenato una serie di modifiche, di separazioni e di nuove fusioni nell’intero sistema dei partiti. Se la scomparsa di alcune formazioni era prevedibile ancora prima del voto (il Partito socialista e la Destra di Storace-Santanchè, tanto per fare un esempio), la sorte della Sinistra arcobaleno è stata invece una delle vere sorprese del voto del 13 e 14 aprile. Non per quanto concerne il Senato, dove lo sbarramento dell’8% a livello regionale rendeva la sfida pressoché persa in partenza; ma i ripetuti sondaggi pre-elettorali assegnavano alle forze in questione un 5-6% che avrebbe consentito loro di accedere comodamente almeno alla Camera. Essendo un livello già di per sé piuttosto risicato rispetto al bottino ottenuto da Prc-PdCI-Verdi-Sinistra democratica nel 2006, era davvero difficile immaginare un ulteriore calo di consensi. Eppure, con poco più del 3% su tutto il territorio nazionale, la Sinistra arcobaleno ha perso circa i tre quarti del suo potenziale elettorale. Le prime analisi dei flussi di voto (necessariamente sommarie) ci dicono quali percorsi hanno seguito gli elettori che nel 2006 avevano optato per la sinistra radicale e nel 2008 hanno mutato la loro scelta. Si stima che soltanto il 40% degli elettori di Rifondazione, il 20% dei Comunisti italiani e il 25% dei Verdi abbiano consegnato i loro suffragi alla Sinistra arcobaleno. Circa un elettore potenziale su due si è invece spostato sulla coalizione Pd-Idv, soprattutto in forza di una strategia di “voto utile” (il Partito democratico non è cresciuto più di tanto perché ha contemporaneamente ceduto consensi a Italia dei valori, Udc, Pdl e Lega); i rimanenti si sono dispersi fra l’astensione, il voto per Pdl e alleati e l’opzione per le neonate formazioni di Sinistra critica e Partito comunista dei lavoratori. Le forze della sinistra etichettabile come “non riformista” si ritrovano così ad un livello prossimo a quello raggiunto da svariati loro omologhi in giro per l’Europa. Con la differenza che il crollo è avvenuto in soli due anni e con l’esclusione dal Parlamento di tradizioni politiche storiche e radicate. La Sinistra arcobaleno paga i mesi trascorsi al governo, durante i quali alcune iniziative in linea con le promesse elettorali sono state inibite dalla preoccupazione di non provocare la caduta dell’esecutivo guidato da Romano Prodi. La crisi è però avvenuta ugualmente, questa volta aperta da piccole formazioni di centro, e la sinistra si è ritrovata per di più “scaricata” da Veltroni; per una fetta di elettori non si è certo trattato di un bel biglietto da visita. Contemporaneamente, i partiti in questione hanno restituito non di rado l’impressione di logorare l’esecutivo di cui pure erano parte prendendo posizioni in contrasto con quelle assunte collegialmente al fine di ottenere una presunta “visibilità”. A ciò si aggiunga la presa che hanno, su alcuni potenziali sostenitori, i discorsi populisti tenuti dalla Lega – che non a caso ha incrementato i suoi voti – e dal Pdl. Infine occorre segnalare che Rifondazione comunista sconta ancora oggi la decisione di determinare la crisi del primo governo Prodi nel 1998: scelta che una parte di elettori non ha mai perdonato a Bertinotti e compagni, anche alla luce degli sviluppi successivi. Il Partito democratico, dal canto suo, pur nella sconfitta ha motivi di conforto. È vero che il risultato finale, poco più del 33%, appare a molti deludente in quanto di soli due punti superiore alla somma di Ds e Margherita. Ma è altresì vero che il vantaggio del centrodestra era stimato nell’autunno scorso a circa venti punti percentuali; la percezione dell’esperienza di governo da parte di molti italiani è alquanto negativa, e il Pd rimane pur sempre il partito voluto da Prodi; i Ds avevano subito una scissione a sinistra che rischiava di rivelarsi per nulla irrilevante; il quadro generale, insomma, non era dei più favorevoli ad una buona performance. Ciononostante il Pd, sia pure grazie alla strategia di voto utile, è cresciuto notevolmente in molte realtà urbane, anche laddove la Lega ha conseguito i suoi risultati migliori. Inoltre Veltroni ha centrato quello che è facile immaginare fosse un suo obiettivo: liberarsi della miriade di ex alleati coi quali i democratici sarebbero stati nuovamente costretti a trattare e mediare. Il Pd è praticamente l’unica forza progressista dell’arena parlamentare; si tratterà di vedere se sarà in grado di offrire adeguata rappresentanza anche a quegli elettori che ne sono stati privati dalla scomparsa della Sinistra arcobaleno, la cui presenza nelle istituzioni politiche è comunque assicurata dal gran numero di amministrazioni regionali e locali nelle quali Rifondazione e alleati siedono in consiglio o sono determinanti per la sopravvivenza delle giunte di centrosinistra. Allo stesso modo, guardando alla composizione socioprofessionale della sua base (i voti sono giunti in misura maggiore della media da impiegati pubblici e pensionati), si può cogliere appieno la necessità che il partito di Veltroni sappia riallacciare i rapporti con quei settori – ad esempio gli operai, le realtà produttive del Nord – dati in passato per acquisiti ma che negli ultimi anni sembrano sempre più sfuggire alla sinistra italiana. □
Nella chiesa c’è troppo agio e troppo disagio. Rafforzato il papato, è stata eclissata la sinodalità. Il popolo di Dio, posto dal Concilio al centro della chiesa, è di nuovo messo da parte. Ma anche il papato, forza e debolezza del cattolicesimo, si trasforma. Pio era un idolo (alcuni di noi lo ricordano bene); Giovanni un vero sant’uomo, illuminato (il 28 ottobre bisogna ricordare il 50° della sua elezione); Paolo un intellettuale sincero e tormentato; Giovanni Paolo un grande capo, un condottiero conquistatore (con quale successo?); Benedetto un professore: le sue encicliche e conferenze sono discusse come quelle di uno dei tanti teologi. Sono scesi dal cielo alla terra: bene così, se non guardano solo alla terra o solo al cielo. I vescovi, salvo qualche coraggioso, stanno docili sotto le direttive centrali, sempre timorosi di essere scoperti fuori linea. Dalle loro chiese, i più temono soprattutto di essere messi in difficoltà con Roma. A Torino, dimessosi per età l’arcivescovo Poletto, che resta in funzione, confermato per due anni, mentre comincia il toto-vescovo, nel quale è escluso solo l’ascolto della chiesa locale. Il gerarchismo cattolico decide per tutti, da solo. Qualche volta ha deciso bene, ma non è bene decidere così. La stampa cattolica per lo più loda e tranquillizza, e tace i problemi. La parola della chiesa è più predica morale sui soliti punti, che annuncio evangelico. La chiesa figura come una delle parti della società, coi suoi valori e interessi, non lievito e sale. Sono attraversate le differenze confessionali. C’è un popolo ecumenico, composto dai cristiani più impegnati, ma più come rifugio dai disagi che come maturazione delle questioni che ci hanno diviso. Frequentiamo, molti tra noi, la messa cattolica o il culto protestante (questo meno partecipabile dal popolo), dando lo stesso valore sacramentale all’uno e all’altra, con buona pace del Vaticano. Leggiamo teologi, frequentiamo incontri e associazioni, senza chiederci se sono cattolici o protestanti. Conta pregare, pensare, operare per la giustizia. Due di noi, in questa redazione, sono valdesi e quasi non ce ne accorgiamo: difetto dei valdesi o dei cattolici? Merito di entrambi. Più protestanti loro o i cattolici? Non lo sappiamo. Lo scisma che denunciava Pietro Prini è sempre meno sommerso, sia nei cattolici tranquilli sia negli inquieti e disagiati. Molti, in morale e in politica, si regolano in coscienza, senza ribellarsi. Le direttive gerarchiche, c’è chi le ignora, c’è chi le ascolta e poi decide da sé. Però ci sono anche molti che ai tormenti della coscienza preferiscono l’obbedienza, con altri tormenti. Papa e vescovi amano oggi singolarmente discutere coi filosofi su Dio e la ragione, e scelgono volentieri interlocutori non credenti (vedi Ratzinger-Habermas, ieri, e, oggi, Scola- Flores d'Arcais), mentre evitano il confronto coi teologi credenti e soprattutto sui temi cruciali della fede. Con questi preferiscono censurare o pontificare. I cattolici a loro agio nella chiesa partecipano al culto ma assai meno alla intera vita ecclesiale. Ai più sono offerti santuari, santi e adunate attorno al papa (per tacere di Radio Maria). Si arriva a disseppellire corpi di santi (un vescovo è indagato per vilipendio di cadavere!) e farli viaggiare, venerati come idoli, quasi un’altra religione, che non ha come cuore Cristo e il suo Spirito. Non mancano gruppi ecclesiali, in diverse città, tra cui Torino, che rivendicano pacatamente il ruolo dei laici, nel pensare e nel decidere, non solo sulla politica, e propongono riflessioni sostanziose nella base. Propongono, non polemizzano, non attendono imbeccate né chiedono autorizzazioni. Ma che ne è della fede nelle giovani generazioni? Compaiono in raduni entusiastici, ma poi? Più seriamente frequentano centri di spiritualità. Quanti hanno abitudine con la Bibbia e la preghiera? Impossibile misurarlo, ma è questo il fattore decisivo. La chiesa perde queste generazioni? Oppure le trattiene la chiesa più della fede? Cristo non è più ovvio. Oggi la formazione personale non finisce a 18-20 anni, ma spesso riprende dopo i 30. Però, quale comunità, quale lettura consigliare a questi “ritornanti”? Qualcuno, dall’interno, dice che le parrocchie e i preti sono spossati dalla gestione aggregativa e sacramentale prevalente sulla formazione, sulla evangelizzazione. Scomparirà il cristianesimo storico? □ |
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