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editoriali
Papa Bergoglio ha voluto Marx sia nel consiglio dei cardinali che lo coadiuvano nella riforma della Curia romana e nel governo della Chiesa mondiale, sia a capo del Consiglio vaticano per l’Economia, incarichi che tuttora ricopre. Rammentiamo pure che, a ridosso dell’avvio del percorso sinodale della Germania (dicembre 2019), una lettera del cardinale canadese Marc Ouellet, prefetto della congregazione dei Vescovi, esprimeva una certa apprensione per il rischio che il consesso tedesco volesse affrontare questioni fondamentali di competenza della sede apostolica. Fu un avvertimento a cui fece seguito, nel giugno del 2019, una lettera «al popolo di Dio che è in cammino in Germania» con la quale papa Francesco in persona metteva in guardia dal rischio di ricercare «risultati immediati che generino conseguenze rapide e mediatiche, ma effimere per mancanza di maturazione». Un intervento dovuto, a causa dell'intervento di Ouellet, che tuttavia interpretammo come un invito a continuare, con prudenza e moderazione, ma pur sempre a procedere. È infatti quasi impossibile che il porporato tedesco, dati i suddetti incarichi al massimo livello, abbia potuto inserire quegli argomenti all'ordine del giorno del Sinodo (soprattutto il celibato e «le nuove prospettive in materia sessuale») senza l'avvallo del pontefice. Nell'ultima lettera dimissionaria scrive: «Sono giunto alla conclusione di pregarLa di accettare la mia rinuncia all’ufficio di arcivescovo di Monaco e Frisinga. Sostanzialmente per me si tratta di assumermi la corresponsabilità relativa alla catastrofe dell’abuso sessuale perpetrato dai rappresentanti della Chiesa negli ultimi decenni. Le indagini e le perizie degli ultimi dieci anni mi dimostrano costantemente che ci sono stati sia dei fallimenti a livello personale che errori amministrativi, ma anche un fallimento istituzionale e “sistematico”. Le polemiche e discussioni più recenti hanno dimostrato che alcuni rappresentanti della Chiesa – sottolinea il porporato tedesco – non vogliono accettare questa corresponsabilità e pertanto anche la correità dell’Istituzione. Di conseguenza rifiutano qualsiasi tipo di riforma e innovazione per quanto riguarda la crisi legata all’abuso sessuale» La lettera di dimissioni e la risposta di Francesco che le respinge (entrambe pubblicate col consenso del Papa) hanno tutta l'aria di essere state concordate e orchestrate insieme. Ossia pare essere un delfino di Bergoglio proprio il porporato tedesco, che si espone in prima linea accettando di essere criticato vuoi dalle congregazioni romane, vuoi da una parte (minima) del suo episcopato. L'arcivescovo di Monaco (sulla cattedra che fu già di Ratzinger) si sta “sacrificando” per l'amico Bergoglio, esponendosi al fuoco di sbarramento degli oppositori, secondo i quali ciò sarebbe un processo di “protestantizzazione” o “luterizzazione” della chiesa cattolica (come hanno scritto certi quotidiani italiani di destra), e di cedimento demoniaco a Satana (Lutero = diavolo). Tornando al Sinodo italiano, il card. Bassetti ha detto che i problemi basilari che attanagliano la Chiesa e l'umanità sono altri: le questioni di fondo della nostra gente sono la solitudine (chi è più solo di un prete celibe?), l'educazione dei figli, le difficoltà di arrivare a fine mese per la mancanza di lavoro, l'immaturità affettiva che porta le famiglie a disgregarsi. Il che è pure vero, ma non può essere una scusa per non affrontare anche il presbiterato tradizionale maschilista (oltre alla questione dei divorziati risposati e del celibato). Per un buon cristiano è difficile capire perché i preti sposati cattolici esistano da sempre solo in certi luoghi (Grecia, Albania, Sicilia), e in tutti gli altri siano “vietati”. □ (Vedi anche articoli interni di e. p. e m. p.)
«Una causa civile giunge in Germania alla sentenza di primo grado in 200 giorni, in Italia in 500»: così ha detto Mario Draghi il 26 aprile alla Camera illustrando il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) necessario per impiegare i 191 miliardi di euro contrattati dal governo Conte e dal ministro Gualtieri con l’Unione europea. Questa discrepanza evidenzia non solo la violazione dei diritti dei cittadini, ma anche l'enorme danno che una tale “giustizia” reca al sistema economico e al benessere generale. Sarà la giustizia (civile, ma anche penale) una delle quattro riforme base del governo nell'attuazione del piano, insieme a pubblica amministrazione, fisco e concorrenza. Di riforma dell'apparato dello Stato si parla in realtà dall'entrata in vigore della Costituzione, nel 1948, quindi qualche perplessità è lecita. Il governo indica tre campi di azione prioritari: la stratificazione normativa, ormai babelica, il miglioramento delle competenze individuali, in un quadro di digitalizzazione crescente, evidentemente ancora assai arretrata. La burocrazia sarà rinforzata e digitalizzata, ma è ancora quella di sempre: sarà capace di reggere l’impatto del piano? Perché non è indifferente come, in che percentuale e soprattutto in che tempi sarà realizzato. L’Unione vigila e in caso di gravi ritardi potrebbe decidere di riassegnare i fondi a noi destinati ad altri paesi più efficienti. Fondamentale sarà anche la produttività degli investimenti che faremo, perché i fondi che riceveremo dall’Ue sono in maggioranza un prestito e se gli impieghi non genereranno un aumento adeguato del reddito tale da ripagarlo avremo solo rimandato il tracollo. Sul fisco viene ribadito il rigoroso principio costituzionale (art. 53) della progressività delle imposte, contro ogni ipotesi di flat tax. Con qualche criticità. È noto infatti che nella situazione della pandemia chi ha avuto maggiori danni sono stati i lavoratori autonomi. Questi spesso lamentano l'esiguità dei ristori e dei risarcimenti statali per i mancati guadagni (le elemosine, abilmente cavalcate dalla destra non governativa, ma anche da quella che al governo c'è). Ci si dimentica peraltro che molti, non tutti, i titolari di queste attività, al momento di adempiere i loro doveri fiscali spesso erogavano pochi spiccioli (diciamo un'elemosina). Ci troviamo quindi di fronte a un'urticante nemesi storica, di cui nessuno parla, in nome di una equivoca «pace sociale». Questa situazione renderà assai difficile ogni riforma e Draghi infatti è stato assai generico in tema di lotta all'evasione fiscale. Sulla concorrenza infine il presidente del Consiglio ha rilevato una nostra inadempienza nei confronti dell'Ue, le cui norme richiederebbero ogni anno dal 2009 normative in ogni stato che facessero il punto della situazione. In Italia ciò è avvenuto, e parzialmente, solo una volta nel 2017. Chi ritenesse questo tema di scarsa importanza sbaglia di grosso. La tutela della concorrenza nelle attività economiche, infatti, significa lotta alle posizioni di monopolio, agli egoismi corporativi e alle rendite di posizione, che, oltre a frenare un ordinato sviluppo, creano disuguaglianze e disparità tra i cittadini. Un esempio per tutti: le concessioni demaniali sulle spiagge, che l'Ue ci chiede giustamente di mettere a concorso, mentre da decenni sono appannaggio degli stessi gruppi ristretti e corporativi, che pagano, tra l'altro, ridicoli canoni di concessione. Il documento presentato da Draghi prosegue con un lungo elenco di investimenti diretti a perseguire obiettivi molto apprezzabili: da uno sviluppo più accelerato del Sud al miglioramento della sanità, puntando sull’assistenza domiciliare, diffusa sul territorio, a un vasto impegno su scuola e ricerca, a partire dagli asili nido, perché è da questo livello di scolarità che inizia la lotta al disagio e alle disuguaglianze. Non mancano spunti assai interessanti sulla riqualificazione professionale dei lavoratori di comparti produttivi in declino e forti investimenti nei trasporti cosiddetti sostenibili. Alcuni di questi temi potranno essere ripresi in altra sede. Soffermiamoci solo sullo sviluppo del Sud. Il piano prevede a questo fine l’impiego del 40% delle risorse. Anche ammessa la piena realizzazione del Pnrr, resta un grande punto interrogativo: riusciremo a raggiungere l’obiettivo di recuperare il ritardo italiano rispetto agli altri grandi paesi dell’Unione? È uno sforzo notevole, ma in che misura questa massa di investimenti riuscirà a far uscire il Sud dall’arretratezza in cui si trova dall’unità d’Italia? Perché ormai abbiamo capito che lo sviluppo del sud Europa è legato a quello del nord Africa, se non a quello dell’intera Africa. Qui possiamo misurare la debolezza della politica africana dell’Unione e della nostra, insieme a quella degli altri paesi del sud Europa, per l’incapacità a imporla. Questa mancanza ci danneggia fortemente, mette a rischio l’efficacia del piano e si rivela tragicamente nei molti migranti annegati nelle acque del Mediterraneo. Sia chiaro fin d’ora che senza le riforme citate in premessa e senza un sistema di controlli efficaci (nonché il rigoroso rispetto dei tempi) sarà ben difficile non diciamo concludere, ma neppure avviare un piano così impegnativo. Esso, nonostante tutte le riserve e le difficoltà messe in rilievo, è comunque una grande opportunità per l’Italia e occorre sperare fortemente, per il nostro bene e per quello dell’Unione, che riesca a darci la spinta necessaria per rialzarci. □
Il valore de il foglio
Fino a pochi anni fa, a chi mi chiedeva quali valori attribuissi all’esperienza de il foglio, rispondevo senza esitazione: «Il primo è: dimostrare concretamente che la libertà di stampa esiste, sol che si voglia esercitarla». Un gruppo di redattori diversamente talentuosi nello scrivere, nell’impaginare, nel correggere, nell’imbustare, una cerchia di simpatizzanti più o meno prolifici di contributi, un pubblico di abbonati relativamente contenuto, ma fedele e talvolta generoso, hanno fatto vivere la stampa di un giornale senza pubblicità, senza padroni, senza sponsor ingombranti. Certo i redattori si piegano a tutti i mestieri, dal volo pindarico alla pedalata del fattorino, senza alcuna remunerazione se non un trancio di pizza una volta all’anno. Certo le varie fasi della lavorazione – impaginazione, correzione bozze, stampa e spedizione – si insinuano nei tempi morti della “vera” stampa per risparmiare ogni centesimo possibile sui costi di produzione. Certo i lettori paganti sono scelti accuratamente per la loro proverbiale indulgenza ad accettare uscite ritardate, numeri doppi, copie andate perse e poi recuperate a mano. Ma, insomma, sono cinquant’anni che il foglio esiste, s’impegna, s’indigna, s’interroga, si litiga, studia, ascolta, risponde, riflette. In altre parole, dice la sua. Libertà di stampa, appunto, senza i compromessi o le autocensure di confratelli – si parva licet componere magnis – che, negli stessi anni, hanno conosciuto le occhiatacce di interessati censori sulla propria linea editoriale. Ma, da poco più di un decennio, per «dire la sua» non c’è più bisogno della libertà di stampa. Basta un post su Fb, o un tweet, o un blog autoreferenziale, e chiunque, gratis, può dire e pubblicare la sua. Gli attori di questa nuova libertà crescono in tendenza esponenziale, e i fruitori (o follower) anche peggio. Sovrastato dalla chimera di nuova libertà dei social network, che cosa rispondo oggi all’antica domanda? Quale valore differenziante rivendico per il foglio? Senza esitazione dico: «Il lavoro redazionale ‒ il cui prodotto è la colonna, talvolta una e mezza, raramente due, a sinistra in prima e ottava ‒ dove si esprime il consenso dei redattori». È vero che nasce sempre da una stesura individuale, ma raramente la passa liscia. Si discute, si ammenda, si integra, si corregge, si taglia e si ricuce. È un esercizio mensile di sensibilità, ascolto, dialettica, convinzione, retorica. Un esercizio dove la prevalenza del pronome di prima persona (nel caso di un editoriale firmato) ha un sapore di sconfitta, rispetto alla soddisfazione del “noi” (tutti gli editoriali non firmati). In un mondo ormai avvolto dalla ragnatela – il web – in cui chiunque può urlare la sua frase, prima ancora di avere terminato di pensarla, impiegare del tempo a passarsi un capoverso fino a che ciascuno possa sentirlo suo, è come vivere sul pianeta del Petit Prince. Voglio credere che sia anche per questo se i lettori ci accompagnano nel viaggio.
Stefano Casadio |
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